domenica 13 maggio 2018

Trump a Davos e il cesso d’oro di Cattelan

NOTA:
Da gennaio collaboro saltuariamente con "Atlantico Quotidiano". 
Atlantico è "un quotidiano online, una newsletter e una rivista cartacea trimestrale di analisi e approfondimenti su politica, economia e politica internazionale: con un rigoroso approccio occidentale e pro-mercato. La direzione editoriale è di Federico Punzi, Daniele Dell’Orco e Daniele Capezzone. L’editore è Francesco Giubilei".
Questa è la versione lunga.
La versione corta è che a fine dell'anno scorso (novembre direi), mi ha telefonato Federico Punzi - che fino ad allora conoscevo solo per averlo ascoltato via radio e per aver interagito con lui via Facebook, trovandoci in sintonia su molti argomenti - il quale mi ha esposto il progetto. Quando mi ha detto che si sarebbe chiamato "Atlantico", io ho detto: "Guarda, ti dico subito di sì". In effetti, penso che sarebbe stato difficile trovare un nome capace di offrire una sintesi più efficace di tutto ciò che "Atlantico" vuole essere e rappresentare.
Da allora le cose che ho scritto sono pubblicate su "Atlantico", e mi rendo conto che ho completamente trascurato questo blog.
Ho pensato di rimediare, riproponendo gli articoli anche qui.
Comincio dal primo, e proseguirò in ordine cronologico.

***

(Uscito su Atlantico Quotidiano del 24 gennaio 2018)
Mentre Trump è a Davos nella tana del libero commercio mondiale, i media italiani danno ampio risalto allo sgarbo fatto al Presidente degli Stati Uniti – e alla sua famiglia – dal Museo Guggenheim. La First Family aveva chiesto in prestito un Van Gogh da esporre nella residenza privata della Casa Bianca, e la curatrice della collezione – notoriamente non una fan di Trump – ha risposto che quell’opera non era disponibile, proponendo, come alternativa, un cesso d’oro massiccio realizzato da Maurizio Cattelan, intitolato “America”.
Si tratta di argomenti che, in effetti, a prima vista, nulla c’entrano tra loro. Sono giustapposti dai media che sono solo contenti di potersi tuffare su quello che sembra un vero e proprio insulto alla First Family, e di non dover, così, dedicare troppo spazio a questioni complicate – come l’effettivo andamento del Forum di Davos – o scomode – come la vicenda degli inquietanti sms anti Trump degli agenti dell’Fbi, prima perduti, ed ora, a quanto pare, ritrovati.
Ma una piccola analisi, proprio stando a questo giochetto dei media, è possibile farla. (prosegue su Atlantico Quotidiano).

venerdì 19 gennaio 2018

La destra Usa sogna - o vede - l'"Obamagate"?

Grande agitazione per quasi ventiquattr'ore sui social media negli Stati Uniti, soprattutto nell'area di destra.
L'hashtag #releasethememo ha dominato per ore tra gli argomenti più trendy su Twitter, anche a livello globale.
Si riferisce alla richiesta di rendere pubblico un memorandum confidenziale, depositato presso la Commissione per l'Intelligence della Camera dei Rappresentanti, che conterrebbe notizie "scioccanti": si tratterebbe delle prove degli abusi commessi da pubblici funzionari (di altissimo livello) nell'utilizzo di intercettazioni e sistemi di sorveglianza occulta durante l'ultimo scorcio della presidenza Obama - quello, per intenderci, che ha coinciso con la fase decisiva della campagna presidenziale, e poi con il periodo di transizione tra il Presidente uscente e il neo eletto Trump.
Nel dare impulso al battage ci ha messo del suo anche Wikileaks, promettendo un milione di dollari (in bitcoin...) a chi consegnerà alla piattaforma creata da Assange il memorandum.


E poi ci sarebbe stato l'aiutino degli account "robotizzati" di matrice russa, che avrebbe inondato Twitter dell'argomento.
Nulla di concreto, quindi?
Non proprio.
Qualcosa si sta facendo strada anche sui media main stream, anche se solo su quelli orientati a destra.
Sean Hannity, nel suo tipico monologo, spiega bene la situazione, dicendo testualmente che si tratta di uno scandalo molto più grave del Watergate.
Alcuni membri repubblicani della Camera dei Rappresentanti hanno detto di aver letto il memorandum, e di esserne rimasti scioccati.


Attenzione, però: anche i democratici si stracciano le vesti ad ogni presunto sviluppo del "Russia gate", e poi invariabilmente si tratta di fuffa.
Stiamo a vedere.

martedì 16 gennaio 2018

Il "metodo Trump" con la stampa funziona solo se sei (come) Trump.

Grande bailamme sulle dichiarazioni di Attilio Fontana, candidato della Lega alla Presidenza della Regione Lombardia. "Repubblica" ha dato grande risalto alle infelici (eufemismo) dichiarazioni dell'oscuro (fino a ieri) avvocato di Varese che la coalizione di centrodestra ha deciso di candidare dopo il misterioso "passo indietro" (sarà davvero tale?) di Roberto Maroni. Il grande pubblico ha così avuto finalmente modo di conoscere Fontana per quello che è (almeno dal punto di vista dell'immagine): un oscuro avvocato di Varese che Salvini ha scelto per rimpiazzare Maroni, che ha dovuto tagliarsi la barba per farsi accettare Berlusconi (la cui avversione per barba e baffi è leggendaria), e che ha parole infelici per esprimere i propri pensieri (male per un avvocato), o pensieri infelici (il che sarebbe ancora peggio).

(Foto di "Associazione Amici di Piero Chiara" - evidentemente fatta prima che Fontana immolasse la propria barba alla "ragion di coalizione")

Gli esperti si chiedono: ma le dichiarazioni di Fontana sono una "gaffe" spontanea o intenzionale? C’è chi dice che si tratterebbe di un’applicazione del “metodo Trump”, che, in soldoni, consisterebbe in quanto segue: "sparala grossa e stai certo che i media parleranno di temagari qualcuno in termini molto negativi, ma nell’assordante tam-tam i giudizi si mescoleranno e rimarrà solo un messaggio che circola e che viene condiviso".

Personalmente non ho alcun elemento per dire se la "sparata" di Fontana sia stata spontanea o studiata. Mi sento però di esprimere una valutazione sui soi effetti, ed in particolare di dare un umile consiglio ai responsabili della campagna Fontana: il "metodo Trump" è un po' più raffinato di come sopra descritto, e, soprattutto, funziona solo se sei Trump. Cioè è efficace se hai costruito almeno un grattacielo sulla Quinta Strada di New York, nonchè condotto un programma televisivo di prima serata per più stagioni, nonchè realizzato qualche campo da golf di lusso in giro per il mondo. E, soprattutto, se negli ultimi trenta quarant'anni hai anche lavorato incessantemente ad una cosa, e lo hai fatto davvero bene perchè tutti, ormai, nel mondo, la conoscono: hai fatto del tuo cognome un brand.

Se invece sei un Carneade, sei stato scelto da Salvini e hai dovuto tagliarti la barba per farti accettare da Berlusconi - insomma, se non hai una forza (anzi, una super forza, in termini di riconoscibilità) tua e stai agli ordini di altri, rischi di essere sottoposto al "metodo Repubblica" - che consiste nell'inchiodarti alla prima cosa controversa che fai o che dici - e di uscirne con le ossa rotte. 

domenica 7 gennaio 2018

Il libro di Wolff è pieno di bufale, ed una è un inaspettato favore per Trump

Il libro di Michael Wolff "Fire and Fury - Inside the Trump White House" contiene un sacco di fandonie, per ammissione del suo stesso autore (come ho spiegato nel mio post precedente). Leggendolo, ci si rende conto che è un libro così maldestro nel tentare di sostenere le sue "tesi" raffazzonate, da risultare quasi comico. E l'autore dimostra di essere molto spregiudicato e soprattutto un bell'individualista, perché nel dare alle stampe il suo libro, non si è reso conto che nel giro di qualche decina di pagine smonta - involontariamente - la narrativa del "Russia gate" su cui tanto si sono concentrati, nel 2017, gli oppositori di Trump (al cui campo, di certo, Wolff appartiene).

La tesi portante del secondo capitolo del libro è che Trump non solo era sicuro di perdere le elezioni, ma che, anzi, non ha mai avuto intenzione di vincerle. L'obiettivo vero di Trump sarebbe stato quello di diventare celebre e lanciare un nuovo network televisivo di destra. Varie scelte controverse della campagna Trump (che hanno indotto gli "esperti" ad accusarla di essere inadeguata, amatoriale, sotto organico, sotto finanziata, etc.) sarebbero state fatte proprio perché l'obiettivo, in realtà, non era vincere, perchè "perdere sarebbe stata comunque una vittoria". Uno dei retroscena riferiti da Wolff, è che Trump avrebbe addirittura promesso a Melania che non avrebbe vinto. E lei, la notte delle elezioni, avrebbe pianto lacrime amare, di fronte alla prospettiva di lasciare la sua dorata vita newyorkese. 

Il problema è che anche a scriverla, la "tesi" di Wolff, fa scappare da ridere. Trump era già celebre (anzi, super celebre) prima delle presidenziali 2017, e non aveva certo la necessità di candidarsi a Presidente per diventare ancora più famoso, né per fondare un nuovo network televisivo. E poi, basta guardare la faccia di Melania la notte della vittoria: non sembra proprio quella di una che l'abbia presa poi così male! 

(Per fortuna che esiste Youtube: guardate dal minuto 3:30).



La verità è che Trump si è candidato per diventare il leader di un movimento politico, con il quale lanciare un'"Opa" sul Partito Repubblicano. E' possibile che, dentro di sé, abbia avuto dubbi sulla vittoria (ma non lo ammetterà mai, significherebbe smentire il suo stile di approcciare la vita). Ma il modo in cui ha fatto campagna elettorale, soprattutto nelle ultime settimane, dimostra che, alla fine, ci credeva eccome, nella vittoria. Mentre la Clinton si riposava sicura di essere già Presidente, Trump saltava da uno Stato incerto all'altro a bordo del suo aereo, facendo più comizi nello stesso giorno. Anche allora, ovviamente, gli "esperti" lo deridevano, dicendo che sprecava il suo tempo in Stati dove non aveva possibilità di vittoria. Salvo essere clamorosamente smentiti.

Michael Wolff dimostra dunque di essere poco più che un cacciatore di gossip (di dubbio livello), ed un pessimo analista politico, perché non ha neppure lontanamente compreso l'operazione politica alla base della candidatura di Trump, fondata su due presupposti fondamentali. Il primo, è che entrambi i partiti (Repubblicano e Democratico) erano - e sono - fratturati tra l'"establishment" e un'area populista, nel Partito Democratico capeggiata da Sanders; Trump si è infilato nella frattura presente nel campo repubblicano, e ha sbaragliato tutti i contendenti. Il secondo, è che anche a fronte di questa situazione, una corsa da indipendente non aveva comunque possibilità di vittoria, resa vana dalle regole che proteggono il bipartitismo USA. Trump ha compreso questi presupposti, li ha fatti propri, e li ha posti alla base della propria campagna elettorale.

D'altronde, se avesse ragione Wolff, Hillary Clinton e gli altri candidati alle primarie repubblicane dovrebbero tutti andare a nascondersi: sono stati battuti da un dilettante della politica allo sbaraglio, che addirittura non desiderava vincere! Andiamo... Capite perché il libro di Wolff ha tratti di comicità?

Ma c'è un aspetto ancora più divertente, in questa vicenda. E cioè che un libro che ha l'unico, evidente scopo di danneggiare Trump, per l'imperizia del suo autore finisca per fargli - involontariamente - un enorme favore. E' evidente, infatti, che la "tesi" secondo cui Trump non aveva nessuna intenzione di vincere, fa crollare tutto il castello di accuse sul "Russia gate". Se Trump non voleva vincere, quale sarebbe stato, per lui, lo scopo di "colludere" con la Russia di Putin, per ottenere un ingiusto vantaggio elettorale? Nessuno! Michael Wolff non si è reso conto che, nell'ansia di vendere qualche copia in più, ha minato alle fondamenta la linea di aggressione portata avanti contro Trump dal circuito mediatico-democratico durante tutto il primo anno di presidenza. Quella stessa linea che avrebbe dovuto condurre in un battibaleno all'impeachment di Trump - se solo si fosse trovato uno straccio di prova...

Poco male! I media anti Trump non si curano del principio di non contraddizione, sono immuni da autocritica che non sia puramente formale e di facciata, e trovano comunque il modo di portare avanti la loro agenda. Qualunque cosa, per loro, va bene purché possa danneggiare la Casa Bianca - questa Casa Bianca. Ecco dunque che altre "indiscrezioni" contenute nel libro di Wolff vengono ora utilizzate per mettere in dubbio l'equilibrio mentale di Trump. Dove non si può arrivare con l'impeachment, si vorrebbe arrivare con il 25mo emendamento, quella norma della Costituzione degli Stati Uniti che regola la procedura per rimuovere un Presidente in carica. Una fantasia ancora più assurda dell'impeachment. 

E' semplicemente sconcertante che i media Usa, nella loro foga anti Trump, si prestino a propalare certe assurdità, senza minimamente rendersi conto del danno che stanno facendo all'immagine del sistema politico americano. E non è un caso che giri notizia che i nemici degli Stati Uniti - ISIS in testa - stiano diffondendo una versione "piratata" del libro di Michael Wolff, con l'evidente scopo di danneggiare il loro nemico numero uno, che in questo momento siede nello Studio Ovale.

Agli occhi di un osservatore straniero, privo di pregiudizi e mediamente informato - cioè che si informa attraverso il "filtro" dei media del proprio Paese - nella migliore delle ipotesi da un anno a questa parte negli Stati Uniti devono sembrare tutti - ma proprio TUTTI - impazziti.

Occorre rassegnarsi. Le cose non miglioreranno finché in campo democratico non spunterà qualcuno che non si limiterà a rifiutare, in maniera infantile, la vittoria di Trump e ad avversarla con argomenti assurdi (prima il "Russia-gate", poi le accuse di "instabilità"), ma si deciderà finalmente ad affrontare le ragioni della sua affermazione elettorale.

venerdì 5 gennaio 2018

Oltre la fantascienza: l'autore ammette che il libro sull'inizio della presidenza Trump è pieno di balle

Roba da non credere.

Foto di Andrew Dermont - Own work, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=65264856

In una situazione del genere, cosa farebbero un autore, e, soprattutto, un editore con un minimo di buon senso? Cestinerebbero il libro. O, quantomeno, cercherebbero altre fonti, altre conferme, prima di pubblicarlo.
E invece no!
Le balle e le contraddizioni sono state inserite allo stesso - volontariamente - per consentire al lettore di "giudicare da solo" se le affermazioni sono vere o meno. Motivazione risibile, perchè è evidente che il lettore, che non ha conoscenza diretta dei fatti, non ha elementi per giudicare se sono avvenuti o meno.
E nel frattempo, "estratti" e "indiscrezioni del libro" hanno già fatto il giro del mondo, ovviamente sprovvisti della sconcertante nota precauzionale dell'autore.
Semplicemente stupendo, no?
Sospetto che la noterella di apertura sia stata consigliata all'autore (e all'editore) dagli avvocati.
Chissà se basterà. Personalmente ne dubito.
Perchè Trump ha messo in pista un vero mastino: Charles Harder, l'avvocato che, per conto di Hulk Hogan, ha fatto fallire il sito Gawker con una causa per violazione della privacy. E che ha costretto il Daily Mail a capitolare in una causa di diffamazione promossa per conto di Melania Trump, diventando così un vero e proprio "spauracchio" dei "giornalisti" (quelli tra virgolette)..
E' facile prevedere che la causa Donald J. Trump v. Michael Wolff diventerà una pietra miliare nella storia giudiziaria Usa.

Altre cose successe nelle ultime 72 ore, oltre all'affaire Bannon

Almeno cinque:

1. Il Presidente della Commissione sull'Intelligence della Camera dei Rappresentanti, Devin Nunes, ha ottenuto dal Dipartimento della Giustizia l'accesso ai documenti e alle testimonianze sulla Fusion GPS, l'agenzia che ha "cucinato" il dossier farlocco su Trump (quello dei festini con le prostitute in Russia, per intenderci). E' una buona notizia per Trump, perchè Nunes sta tentando di capire se e come il dossier è stato utilizzato dall'Amministrazione Obama come pretesto per ottenere il permesso di spiare i funzionari della campagna Trump.

2. L'FBI ha riaperto le indagini sulla Clinton Foundation, per verificare se è stata violata la legge sui finanziamenti elettorali.

3. Anche le indagini sull'ex direttore dell'FBI Comey per violazione del segreto d'ufficio stanno procedendo. E' emerso che alcune notizie che Comey ha passato al suo amico professore universitario perchè le desse alla stampa sono coperte dal segreto. Tanto è vero che la commissione d'inchiesta del Senato ha potuto visionarle solo in una SCIF (cioè in una stanza a prova di intercettazione).

4. Trump ha chiuso la commissione che doveva indagare sui brogli delle elezioni presidenziali, perchè molti Stati controllati dai democratici si sono rifiutati di fornire i dati. L'inchiesta è stata affidata al Dipartimento della Homeland Security, che è molto più tosto e ha poteri investigativi molto più incisivi.

Però queste sono cose piuttosto tecniche e complicate da spiegare. Capisco che per molti giornalisti (soprattutto per gli inviati italiani) è più facile riferire delle "indiscrezioni" su come viene acconciata la pettinatura di Trump.

P.S.: Quanto sopra, oltre al fatto che l'indice Dow Jones (sì, quello che doveva precipitare con l'elezione di Trump) ha superato i 25.000 punti per la prima volta NELLA STORIA.



giovedì 4 gennaio 2018

Il peccato mortale commesso da Steve Bannon

Non so se Steve Bannon abbia davvero detto che il famigerato incontro alla Trump Tower tra Don Jr e l’avvocatessa russa avrebbe dovuto essere immediatamente denunciato all’FBI in quanto “sovversivo” ("treasonous").

Sul piano della credibilità, il curriculum dell’autore del libro contenente questa “rivelazione esplosiva” è tutt’altro che immacolato , per cui raccomanderei prudenza prima di trarre conclusioni. Magari tra qualche giorno arriverà una smentita o una rettifica di Bannon.


(foto di Gage Skidmore)

Certo è che l’indiscrezione ha fatto andare Donald Trump su tutte le furie. Leggete il comunicato con cui “pialla” - letteralmente - Steve Bannon. In più punti si vede chiaramente che l’ha scritto (dettato) The Donald in prima persona. La frase di apertura “Steve Bannon has nothing to do with me or my Presidency” è Trump al 100%.


Oltre a ridimensionare il ruolo del suo ex consigliere (un altro classico di Trump), nella sua feroce dichiarazione The Donald dice due cose molto interessanti: 1. accusa chiaramente Bannon di essere la fonte della marea di indiscrezioni che hanno tormentato la Casa Bianca nel primo semestre di presidenza (soprattutto fino a quanto Bannon non è stato licenziato); 2. trolla Bannon indicandolo come principale responsabile della sconfitta in Alabama, alle elezioni suppletive per il seggio senatoriale lasciato libero da Sessions dopo la sua nomina a capo del Dipartimento della Giustizia.

Chiaramente, la rissa tra Trump e Bannon è un regalo inaspettato per gli apostoli del “Russia gate”, che festeggiano: fantasticano che le affermazioni di Bannon possano finalmente fornire quello straccio di prova che in molti stanno cercando per accusare Trump di “collusione” con Putin – prova che sinora nessuno è stato in grado di trovare, per il semplice motivo che non esiste.

Ma è più utile una chiave di lettura diversa.

Innanzitutto, utilizziamo un po’ di spirito critico. Domanda: Quando è avvenuto l'incontro di Don Jr con l'avvocatessa russa? A giugno 2016. Quando Bannon è stato nominato a capo della campagna elettorale di Trump? Ad agosto 2016. Bannon ha dunque conoscenza diretta dell'incontro? No. Di cosa stiamo parlando, quindi? Di fuffa. Di un'opinione personale di Bannon - equivalente a quella dell'uomo della strada - su fatti a cui non ha assistito.

E qui arriviamo al secondo, importante elemento. Bannon ha commesso, con le sue dichiarazioni (salvo smentita) il peggiore dei peccati possibili agli occhi di Trump. Non solo è stato sleale, ma ha toccato la famiglia, il figlio primogenito, Don Jr. Il povero Steve imparerà per esperienza quanto sa essere protettivo Trump con la sua famiglia. E su questo aspetto, penso che molti – sostenitori ma anche non – saranno d’accordo con Trump. La famiglia non si tocca. Steve Bannon ha sbagliato. E Trump ha fatto bene, mesi fa, a licenziarlo. 

Bannon, “mettendo in mezzo” Don Jr., ha commesso nei confronti di Trump uno sgarbo gravissimo, e su questo possono essere d'accordo anche da molti dei “bannoniti”, ovvero i componenti di quella “base” della “alt-right” che si abbevera al sito Breitbart.com (guidato da Bannon). Uso le virgolette perché son tutte definizioni della stampa liberal che andrebbero discusse ma ci vorrebbe tempo, per cui le utilizzo così faccio prima.

Proprio l’elemento personale (la legittima incazzatura di Trump per gli attacchi di Bannon alla sua famiglia) può offrire, in prospettiva, una chiave politica interessante. 

Se ci sarà guerra con Bannon (e ci sarà), Trump da ora in poi, avrà sempre, dalla sua, questa ineccepibile motivazione personale: Bannon l’ingrato ha attaccato suo figlio per farsi pubblicità spifferando indiscrezioni dannose ad uno scrittore ostile in cerca dello scoop facile. Per cui, qualunque cosa succeda da ora in poi, Bannon se l’è cercata.

La frattura avrà un’evidente ricaduta sul piano politico nel campo della destra USA. Ricordiamoci che Bannon, dopo essere stato estromesso dalla Casa Bianca, si è messo in testa di mettere in piedi un suo movimento (ufficialmente per portare avanti "da destra" le istanze più estreme dell'agenda trumpista). È stato il regista della candidatura in Alabama alle suppletive per il Senato di Roy Moore, il primo repubblicano che, però, è riuscito a perdere in venticinque anni in quello Stato, azzoppato da controversi scandali sessuali. Trump - non a caso - durante le primarie aveva appoggiato un altro candidato, tenendosi fino a quanto possibile distante l’operazione ordita da Bannon. E ora non ha remore nell'addossare tutta la responsabilità della sconfitta su Bannon.

Ed è questo il dato politico più interessante. Trump e Bannon sono ormai due cose che vanno tenute ben distinte. Nella "guerra civile" nel campo del Partito Repubblicano, o meglio della destra Usa, ci sono ormai tre fronti: l'establishment, Trump, e Bannon. Ma non è detto che Trump ci perda, anzi, forse ci guadagnerà. Il peccato mortale commesso da Bannon consentirà a Trump di smarcarsi definitivamente dal suo controverso ex consigliere, e di muoversi ancor più liberamente tra il centro (dove si governa – la vicenda dei tagli alle tasse insegna) e la destra “bannonita” (i cui voti sono comunque sempre utili). Andando a pescare "fior da fiore", in base all'esigenza del momento.



Aborto e armi, due sentenze che scuotono l’ordine (e la tracotanza) liberal

Due vittorie personali di Trump, reazioni isteriche dei progressisti. Non abolito il “diritto” ad abortire, la materia restituita agli Stati...