Per capirlo, innanzitutto sarebbe utile rammentare che durante le primarie Trump non appoggiò lo sconfitto Roy Moore, ma un altro candidato, Luther Strange. Per una volta, Trump aveva cercato di stare fuori dalla guerra civile dentro al Partito Repubbkicano di cui era stato principale protagonista nel 2016, e ciò al fine di preservare gli ondivaghi legami con i membri repubblicani al Congresso, il cui appoggio è indispensabile per mandare avanti l’agenda legislativa.
Roy Moore, lo sconfitto in Alabama, era uomo di Steve Bannon. Le suppletive per il seggio senatoriale sono state un test decisivo per l’insurrezione che Bannon vuole capeggiare contro l’establishment del Partito Repubblicano. Erano più una sfida tra Bannon e il Partito Repubblicano, che tra il Partito Repubblicano e quello Democratico.
Per questo il Partito ha appoggiato Moore nello stesso modo in cui ha appoggiato, dopo la nomination, Trump nel 2016: in maniera insincera, scappando durante la tempesta. E di tempesta ce ne è stata, eccome. E c’è stato tanto fango.
È un disastro che condurrà all’inasprimento della guerra civile dentro al Partito Repubblicano.
ADDENDUM: La caccia ai politici maschi è aperta almeno fino alle elezioni di medio termine. Come arma è ammesso ogni tipo di accusa di molestia o cumunque di comportamento sessuale scorretto, anche se riferita a fatti avvenuti decenni fa, e anche se prova di qualsiasi conferma in sede giudiziaria.
Trump endorsed and campaigned for Luther Strange during the Alabama Senate primary. This should be remembered. Trump tried to stay out from the GOP civil war in order to preserve his ties with Congressional Republicans, whose support is essential to advance his legislative agenda.
Moore was pure Bannon. A test case for Bannon’s insurgency against GOP establishment. Alabama Senate race was almost more Bannon v. GOP, than Republican Party v. Dem Party.
GOP establishment supported Moore just like supported candidate Trump in 2016: insincerely, running away during the storm. And there was a lot of storm. And a lot of dirt.
This is a massive failure that will lead to an even uglier civil war inside GOP.
ADDENDUM: The hunt to male politicians is open until the 2018 elections at the minimum. As ammunition, any kind of allegation of sexual harassment and/or misconduct is admitted, no matter if referred to facts allegedly happened decades ago, no matter if without any judicial verification.
La vicenda di Gerusalemme è un esempio emblematico della principale differenza tra Trump e i suoi predecessori - gli ultimi tre, almeno.
Questi ultimi, come è tipico dei politici di professione, su molti argomenti si sono limitati a fare, durante la campagna elettorale, promesse che poi non hanno mantenuto.
Trump, invece, ha la tendenza a mantenere gli impegni presi.
Attenzione: Clinton, Bush jr, Obama hanno TUTTI promesso di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele (guardare, per credere, il video sotto).
Ma dopo aver fatto questa promessa, tutti e tre si sono furbescamente avvalsi della clausoletta che consentiva loro di posticipare la decisione presa dal Congresso nel 1995, lasciando così la “patata bollente” al successivo inquilino della Casa Bianca.
Pochi episodi come questo dimostrano la suprema ipocrisia di quei sostenitori di Clinton, Bush jr e Obama che ora accusano Trump di aver commesso, su Gerusalemme, "un errore".
È semplicemente illogico sostenere che ciò che i loro beniamini promisero di fare quando si trattava di assicurarsi la poltrona sia divenuto, nel frattempo, una scelta sbagliata.
Perché ciò implicherebbe una massiccia dose di autocritica, sull’argomento, da parte di Clinton, Bush jr e Obama, che però nessuno, in queste ore, ha sentito, nè da loro, nè dai loro sostenitori.
La realtà, come spesso acccade, è molto più semplice: Trump ha avuto gli attributi di fare ciò che i suoi predecessori (ripetiamo: Clinton, Bush jr, Obama) avevano avuto solo il “coraggio” di promettere.
E molte delle persone che, in Occidente, attualmente lo criticano sono, semplicemente, in mala fede.
“Trump decide di spostare l’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme”.
“Trump mette a rischio il processo di pace in Medio Oriente”.
Ma è davvero così?
Andiamo con ordine.
È stato il Congresso degli Stati Uniti, ovvero l’organo legislativo, e non Trump, a dire per primo che Gerusalemme “dovrebbe” essere riconosciuta capitale d’Israele, e che l’ambasciata “dovrebbe” essere spostata da Tel Aviv a Gerusalemme. La legge è nota come Jerusalem Embassy Act e fu approvata nel 1995 a larghissima maggioranza in entrambi i rami del Congresso, quindi con supporto bipartisan.
All’epoca Presidente era Bill Clinton, il quale dimostrò tutto il suo coraggio politico-istituzionale su un argomento così delicato: non mise il veto, ma nemmeno firmò la legge, che entrò in vigore comunque, ma in virtù della norma della Costituzione che dà al Presidente massimo dieci giorni di tempo (“domeniche escluse”) per rispedire al mittente una legge approvata dal Congresso.
Tanto per chiarirci, nel 1995 Donald Trump pensava a tutt’altro, faceva l’imprenditore, era sposato con Marla Maples e faceva la pubblicità di Pizza Hut.
Ma allora come mai si continua a parlare di questo argomento - come se fosse una clamorosa novità - a distanza di ventidue anni? Perché la legge contiene una clausola che consente al Presidente di posticipare di sei mesi in sei mesi lo spostamento dell’ambasciata, se ritiene che la sicurezza nazionale sia a rischio.
I vari Presidenti che si sono succeduti - lo stesso Clinton, e poi Bush Jr. e Obama - si sono sempre avvalsi della clausola. Del resto, va considerato che negli Stati Uniti, titolare delle principali prerogative in materia di politica estera non è il Congresso ma il Presidente. La legge però non è mai stata abrogata, e ogni sei mesi il problema si ripresenta.
E qui arriviamo a Trump. Anch’egli, a giugno, si è avvalso della clausola di rinvio. Ed è stato sbertucciato per essersi rimangiato una promessa elettorale. Ma che abbia intenzione di attuare lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme lo sanno, da mesi, anche i sassi, perché è un impegno che ha preso fin dalle elezioni primarie del Partito Repubblicano.
Il punto è che Trump ha dimostrato la tendenza a mantenere molte delle sue promesse, soprattutto le più controverse - cosa che lo differenzia dai politici “di professione”. Per cui se i leader arabi non l’hanno capito e pensavano che The Donald avrebbe lasciato perdere hanno commesso un errore di valutazione. Ricordiamoci che solo un paio di mesi fa Trump ha deciso di ritirare gli Usa dall’Unesco, a causa della linea anti-israeliana di quella branca del sistema Onu (ed alla faccia di coloro che lo accusano di anti-semitismo).
Resta da analizzare la terza affermazione. La decisione di Trump metterà davvero fine al processo di pace in Medio Oriente? Considerato l’argomento ci vorrebbe un indovino, e io non lo sono. Al momento, in realtà, non si sa nemmeno quale sia, esattamente, la sua decisione. Mi viene, però, da proporre, a mia volta, una domanda: ma siamo proprio sicuri che in Medio Oriente sia ancora in corso un processo di pace che possa essere messo a rischio dalla decisione di Trump (qualunque essa sia)?
Venerdì, a margine dell’annuncio del patteggiamento del generale Flynn, l’emittente ABC aveva diffuso lo “scoop” secondo cui Flynn sarebbe pronto a testimoniare di aver ricevuto la direttiva di contattare il governo russo dal “candidato” Trump. Cioè prima delle elezioni.
Se confermata, sarebbe stata una notizia esplosiva, perché Trump ha sempre negato di aver dato personalmente tale direttiva PRIMA delle elezioni (ciò che è avvenuto dopo le elezioni ha natura ben diversa, perché a quel punto Trump era già Presidente eletto).
Nel giro di pochi minuti, si sono incendiati gli animi degli odiatori di Trump, che si sono messi ad urlare all’”impeachment”, perché secondo loro Flynn sarebbe pronto a fornire la prova della “collusione” tra Trump e la Russia per truccare le elezioni.
Ebbene, si trattava di una BALLA. Di una vera e propria “fake news” nella più pura definizione trumpiana del concetto.
L’ABC ha dovuto scusarsi, e il reporter responsabile dello “scoop” fasullo è stato sospeso dal lavoro e dallo stipendio per quattro settimane.
Per il reporter in questione si tratta di poco più di un buffetto sulla guancia.
Il danno è notevole, invece, per la credibilità dell’ABC News, uno dei principali “main stream media”.
Quello di indagare sui collegamenti/coordinamenti tra il governo russo e membri della campagna presidenziale di Trump e (attenzione: qui sta il "trucchetto") QUALSIASI cosa che possa sorgere direttamente dall'indagine. Questa seconda parte dell'incarico consente a Mueller di indagare, in pratica, su qualsiasi cosa, purchè ci incappi indagando sulla "Russian collusion". E' evidente il rischio che il tutto si trasformi in una "pesca a strascico" fuori controllo.
Perchè Flynn si era dimesso dall'incarico di consigliere per la sicurezza nazionale di Trump (record negativo di durata: 24 giorni)?
Ufficialmente, per aver "mentito" o comunque non aver riferito accuratamente al vicepresidente Pence proprio di quei colloqui con l'ambasciatore russo avvenuto DOPO le elezioni, facendogli poi fare una figuraccia in varie interviste.
Gli odiatori di Trump, comunque, festeggiano, anche perchè Flynn era quasi la loro bestia nera n. 2 (la n. 1 è The Donald, ovviamente). E confidano su quella parte del patteggiamento in cui si dice che Flynn coopererà con il procuratore speciale Mueller. Sperano quindi che Flynn "vuoti il sacco" su Trump, rivelando chissà cosa.
Nel frattempo, l'ex direttore dell'FBI James Comey, altro soggetto licenziato clamorosamente da Trump, festeggia su Twitter dal suo buen retiro di pensionato intento a scrivere le sue memorie:
Ma dobbiamo davvero aspettarci che Flynn si trasformi, da fedelissimo, ad accusatore di Trump?
Personalmente sono molto scettico. Basta leggere il comunicato dello stesso Flynn per rendersene conto.
E' chiaro che l'uomo vuole difendere la sua reputazione, e non intende certo passare per un "traditore". Gli odiatori di Trump si illudono, se sperano che sia proprio Flynn ad aiutarli.
UPDATE (2/2/2017): consiglio la lettura di questo articolo che spiega molto bene la faccenda dal punto di vista tecnico.
Degno di nota anche questo editoriale del Washington Post (certamente non sospettabile di filo-trumpismo), già il titolo dice tutto: “Flynn’s plea doesn’t prove collusion”. Perché il Washington Post si espone in questo modo? È un classico per i topi abbandonare la nave prima che affondi. E qui la nave è l’indagine di Mueller, una montagna costosissima che sta partorendo solo topolini.
Da qualche tempo faccio parte del consiglio di amministrazione della Fondazione Maffei.
Una delle attività della Fondazione consiste Nell’elargire borse di studio a studenti universitari, per supportarli con un contributo economico nel percorso di formazione. Il processo di selezione avviene tramite la presentazione, da parte di ogni candidato, di un “progetto di studi”, in cui deve spiegare cosa intende studiare e perché. I vari progetti vengono, poi, valutati dal consiglio di amministrazione, che sceglie i più meritevoli.
Dunque, il piccolo aneddoto è questo. Ho appena terminato la lettura delle candidature pervenute per il bando di quest’anno. I progetti sono i più diversi tra loro, per formazione e attuale percorso di studi dei candidati. Si va dallo studente di lettere classiche, a quello di ingegneria aerospaziale.
Una cosa, però, balza agli occhi. I candidati che, durante le superiori, hanno trascorso un periodo di studio all’estero hanno una marcia in più. Hanno le idee molto più chiare su cosa vogliono fare “da grandi”. Sono più determinati rispetto ai loro coetanei che non citano, nel loro curriculum, analoghe esperienze. Questi ultimi hanno progetti - per quanto lodevoli e interessanti - più vaghi. E tendono ad affidarsi al presupposto implicito che una laurea sia ancora una garanzia di realizzazione. Cosa che non è, in un Paese, come l’Italia, con la disoccupazione giovanile al 30%.
Per cui genitori, fate un favore ai vostri figli. Se potete, mandateli a studiare all’estero già durante le superiori.
(Mi è sembrata adatta al tema del post questa foto che ho scattato qualche settimana fa in una delle straordinarie sale di studio della New York Public Library)
P.S.: piccolo spazio pubblicità: se volete, potete ovviamente contribuire alle attività della Fondazione. Ad esempio indirizzandole il vostro 5 per mille!
Per chi non si interessa di calcio, la mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali di Russia 2018 può essere un evento trascurabile.
Non sono d’accordo, per almeno tre motivi.
Primo: il danno per il movimento calcistico e per l’indotto che gli gira intorno è nell’ordine di milioni di euro.
Secondo: quando vengono meno i “circenses”, è più facile avvertire la carenza di “panem”. Il calcio è, volenti o nolenti, lo sport nazionale o comunque più popolare, e quindi un formidabile strumento di controllo sociale. Non sia mai che a giugno 2018, in troppi, non potendo dedicarsi alle grigliate e connesse libagioni e discussioni pre e post partita, ci si accorga che un argomento di cui parlare è - ad esempio - la disoccupazione giovanile è al 30%.
Terzo: sicuramente non trascurabile è il modo in cui il “sistema Italia” (media, tifosi, istituzioni) sta reagendo a questo tracollo sportivo.
Poiché lo sport è spesso metafora perfetta della vita, la reazione di questi giorni ci rivela molti tratti di quello che è, o è diventato attualmente, il carattere nazionale. Si sprecano le reazioni piagnone, vendicative, le rivalse tra Guelfi e Ghibellini, l’arroccamento nel posto di potere. Un panorama desolante, in cui è difficile trovare una voce autorevole e non compromessa con il “sistema”.
Il calcio italiano non solo ha perso la capacità di vincere, ma, ciò che è peggio, ha perso la mentalità vincente.
Ma poiché, grazie al cielo, siamo l’Italia e - volendo - le risorse le abbiamo, è possibile non solo recuperare la mentalità giusta, ma anche, grazie ad essa, tornare a vincere.
Non so chi potrebbe essere il nuovo Commissario Tecnico della Nazionale, o il nuovo Presidente della Federcalcio.
Sono però convinto di una cosa: l’esempio più fulgido di mentalità vincente lo abbiamo avuto e in parte lo abbiamo ancora in casa, in quel magnifico sport che si chiama pallavolo, introdotto dal mio idolo di gioventù Julio Velasco, il tecnico che ha portato (quasi) sul tetto del mondo.
Se vogliamo un’altra “Generazione di Fenomeni” anche nel calcio, cominciamo a proiettare questo video nelle scuole, nelle università, nei centri sportivi, nelle aziende.
E' passato un anno dalla vittoria di Trump alle elezioni.
Ricordo perfettamente quella notte, che ho passato, da solo, insonne, seguendo lo spoglio via internet, con la tv senza audio sintonizzata su SkyTG24 in attesa delle analisi dell'amico Alessandro Tapparini (unico commentatore italiano che ho mai ascoltato sull'argomento, insieme al direttore de "La Stampa" Maurizio Molinari).
Ricordo di aver seguito la grafica del New York Times, che era disegnata stile contachilometri dell'auto. All'inizio, tutte le lancette davano - ovviamente - vincente la Clinton. Poi, piano piano, inarrestabilmente, mentre si passava dal territorio dei "sondaggi" e delle previsioni degli "esperti" a quello dei voti "veri", le lancette hanno cominciato a spostarsi, dapprima lentamente, poi sempre in maniera sempre più decisa, verso Trump. Un delirio.
Ricordo di essermi crudelmente sintonizzato via web sulla CNN, per vedere, a quel punto, le facce dei giornalisti. Balbettavano. Si trova ancora il video su Youtube. Cliccatissimo. Straordinario. Cercatelo, è estremamente divertente. Impagabile.
Ricordo tutto.
Oggi, però, non voglio fare analisi politiche, ma voglio esprimere una notazione personale.
Per mesi, durante la campagna elettorale, ho passato ore e ore, nel mio tempo libero, a guardare i comizi di Trump, le interviste di Trump, i servizi dei media Usa su Trump.
La sera: Trump. La mattina: Trump. Il week end: Trump. Evviva Youtube, evviva internet, pensavo io. Lo ha sicuramente pensato un po' meno mia moglie, che per mesi ha dovuto, spesso, sorbire la presenza ingombrante di Trump a cena, a colazione, a pranzo.
Perchè se non guardavo i video, le parlavo di Trump. Cercavo di spiegarle che se anche tutti - TUTTI - dicevano che era impossibile una sua vittoria, secondo me, invece, non era così, perchè c'erano dei segnali - mille segnali - secondo cui l'esito poteva essere diverso. Certo, era difficile, ma era una possibilità. Io cercavo di spiegarle, e lei, cortesemente, mi ascoltava.
A volte, l'argomento emergeva anche a cena con gli amici. Poche volte, però. Perchè per tutti Trump era un personaggio comico, o un pazzo pericoloso, e comunque - secondo tutti i "giornali" e tutti gli "esperti" - non poteva vincere. Appena si capiva che io la pensavo diversamente, si cambiava quasi sempre discorso, in maniera un po' imbarazzata.
Credo che mia moglie, segretamente, in tutti quei mesi, mi abbia un po' compatito. Magari pensando che un marito, in effetti, potrebbe avere difetti peggiori (ovviamente, non ritengo che il mio studio matto e disperatissimo di Trump sia l'unico mio difetto).
I MSM media (media “main stream”, “seri” insomma) durante la campagna delle presidenziali 2016 derubricavano le indiscrezioni sui problemi di salute di Hillary Clinton come “teorie della cospirazione” propagate dalla “alt right”, la “destra alternativa” razzista, suprematista, populista, nazionalista e chi più ne ha più ne metta, capeggiata dal “lupo mannaro” Bannon e sostenitrice di Trump.
Insomma: un’altra “teoria della cospirazione” su Hillary era tutt’altro che una teoria - almeno stando a quanto scrive un diretto testimone oculare.
Cosa sta succedendo? Perché Donna Brazile, all’epoca vicinissima ai Clinton, ha deciso di rivelare queste verità nel suo libro? Perché le indiscrezioni sul libro giungono da fonti di stampa vicine ai Clinton?
Di solito i topi abbandonano la nave quando sentono che sta per affondare...
***
Un saluto dall’Heartland Brewery, ristorante alla base dell’Empire State Building
Metto le virgolette perché si tratta di cose già note a chi non legge solo il New York Times o Repubblica.
In estrema sintesi, ecco cosa racconta Donna abrasive. Sant’Obama ha lasciato il partito democratico in bancarotta (bravo!). I Clinton hanno escogitato la soluzione: tramite i fondi della campagna di Hillary, hanno prestato al partito democratico le risorse necessarie per la sua sopravvivenza. Sotto forma di “paghetta” mensile. In barba alle regole del partito.
In questo modo Hillary ha ottenuto il controllo del partito democratico (e dei suoi attivisti e del suo database). Piccolo particolare: questo è avvenuto PRIMA delle primarie, in cui la Clinton ha “vinto” contro Sanders la corsa per la nomination. Qui metto le virgolette perché è evidente che il gioco era truccato. Poiché era Hillary che teneva in piedi la baracca, era scontato che, in un modo o nell’altro, ottenesse la nomination. E così è stato.
Salvo poi perdere clamorosamente le elezioni.
E come mai?
Anche qui Donna Brazile è molto chiara. Emblematico questo passaggio di una conversazione che ha la Brazile ha avuto con Sanders, quando gli ha dovuto spiegare come i Clinton lo avevano fregato. Sanders le aveva chiesto se, come dicevano tutti i sondaggi, la vittoria della Clinton era certa. Ebbene, ecco cosa gli ha risposto Donna Brazile (ripeto: l’ex presidente del Partito Democratico, non una quisque de popolo): “I had to be frank with him. I did not trust the polls, I said. I told him I had visited states around the country and I found a lack of enthusiasm for her everywhere. I was concerned about the Obama coalition and about millennials”.
Capito? Ai piani più alti del partito democratico si sapeva che i sondaggi erano farlocchi. E che la Clinton, ancora una volta, in campagna elettorale, invece di correre come un cavallo di razza si stava rivelando un ronzino. Si sapeva che l’aver messo le mani - dal punto di vista finanziario - sul partito, non l’aveva resa un candidato vincente.
Questo è il motivo per cui Hillary ha perso. Perché è in grado di vincere solo se le spianano la strada. Perché è sempre stata un candidato debole. Altro che hacker russi.
Un saluto dal ponte di Brooklyn. Non molto distante da qui, la campagna elettorale di Hillary aveva il suo quartier generale.
L’indagine sul “Russia-gate” sembra arrivata ad una svolta, con le accuse all’ex capo della campagna di Trump, che ha ottenuto i domiciliari a fronte di una cauzione di 10 milioni di dollari.
Ma dove conduce questa svolta? Dritto alla Casa Bianca, come sognano gli odiatori di Trump?
Per il momento, è più che legittimo dubitarlo.
Innanzitutto, occorre tenere ben presenti alcuni punti fermi.
1. Il procuratore speciale Robert Mueller ha il mandato di indagare sui tentativi di Putin di influenzare le elezioni presidenziali Usa del 2016.
2. Le accuse mosse da Mueller a Manafort, ex capo della campagna presidenziale di Trump, non riguardano le elezioni presidenziali 2016, ma incarichi svolti da Manafort nel 2012 come lobbista dell’ex Presidente dell’Ucraina, Viktor Janukovic. Manafort avrebbe violato la normativa sui lobbisti e in materia fiscale. In sostanza, Manafort avrebbe incaricato due super lobbisti di Washington di influenzare le istituzioni Usa per conto di Janukovic, nascondendo però il suo ruolo e la provenienza dei soldi.
3. Le accuse a Manafort non riguardano minimamente Trump.
Quindi cosa c’entra tutto questo con Trump? Niente. O, a tutto voler concedere, c’entra con Trump almeno tanto quanto c’entra con Hillary Clinton.
La cosa, di per sè, non è strana, anzi è un tratto tipico del ruolo delle lobby e dei lobbisti nella politica di Washington. Alla fine, tutti conoscono tutti e tutti fanno affari con tutti. Con un unico vincolo: bisogna rispettare le leggi che cercano di garantire un po’ di trasparenza e, con essa, un livello decente di controllo democratico da parte del cittadino elettore. Proprio quelle leggi che Manafort e il suo amico democratico Podesta avrebbero, nel caso di specie, violato.
Però, tutto questo è piuttosto complicato spiegarlo. Per cui, nell’era della grande semplificazione e delle notizie in tempo reale 24 ore su 24, con la pressante esigenza di fare audience che induce, in mancanza di notizie, a inventarsele, è più facile diffondere l’aspettativa che le accuse a Manafort portino dritte a Trump.
Ma non è così. Per ora, dopo MESI di indagini del procuratore speciale, non c’è ancora uno straccio di prova di collusione tra Trump e la Russia, che rimane una mera congettura.
In effetti, dopo mesi, le indagini del procuratore speciale continuano ad avere una valenza più politica che giuridica. Di tangibile, c’è solo l’effetto ottico che danneggia l’immagine della presidenza Trump, e la condiziona nei rapporti con la Russia. E questo è il vero motivo per cui le indagini continuano, anche se non portano a nulla.
Questo perché la sola esistenza delle indagini - a prescindere dal risultato - va bene ai democratici; a prescindere dai risultati, ogni volta che tornano di attualità sono un danno di immagine per il Presidente, e consentono di coltivare un alibi in grado di spiegare, almeno in parte, la clamorosa sconfitta della Clinton alle presidenziali di novembre.
Ma le indagini vanno bene anche alla parte del partito repubblicano più ostile alla Russia, che può usare la loro esistenza come strumento per “ingessare” la politica di Trump nei confronti di Putin.
Insomma, gli avversari di Trump faranno di tutto per prolungare le indagini, anche se conducono a risultati “minori” come i capi d’accusa nei confronti di Manafort che non c’entrano nulla con il “Russia-gate” (ma del resto, bisogna pur giustificare in qualche modo l’uso del denaro dei contribuenti). Perché l’obiettivo è, comunque, di logorare Trump.
La domanda vera è: per quanto tempo, ancora, Trump, noto per avere un temperamento tutt’altro che accondiscendente, si lascerà logorare?
Ancora un saluto da New York (a proposito di effetti ottici):
Con tempismo eccezionale, mentre i media “seri” cominciavano ad interessarsi dei sospetti impicci dei Clinton con la Russia, il procuratore indipendente Robert Mueller ha fatto la sua mossa - che un’immancabile “fonte anonima” ha anticipato alla stampa - e spiccato mandati di arresto nei confronti di Paul Manafort, ex capo della campagna presidenziale di Trump, e del suo socio Rick Gates.
La notizia è chiaramente negativa per Trump, come lo è l’arresto di ogni collaboratore o ex collaboratore di un uomo politico.
Ma al di là del colpo all’immagine, cosa c’entra l’inchiesta su Manafort con il c.d. “Russia-gate”? Ovvero con il tanto dibattuto - ma poco dimostrato - tentativo della Russia di influenzare l’esito delle presidenziali 2016? Soprattutto, Trump è implicato?
È lecito nutrire più di qualche dubbio.
Per capirlo occorre fare un po’ di storia.
Manafort fu assunto da Trump dopo la vittoria alle primarie, per gestire il delicato passaggio della convention repubblicana. Uno dei vari ostacoli che Trump dovette superare nella sua corsa alla Casa Bianca, fu infatti il tentativo dell’establishment del partito di “scippargli” la nomination con il meccanismo dei delegati.
Ebbene, Trump assunse Manafort - esperto navigatore di Washington - proprio per gestire l’appuntamento della convention.
Cosa che Manafort fece brillantemente, ed infatti Trump - odiatissimo dai boss del partito repubblicano, che lo percepiscono come corpo estraneo e pericoloso - ottenne la nomination.
Poche settimane dopo, colpo di scena: Trump chiede e ottiene le dimissioni di Manafort. All’epoca i media lo interpretarono come evento emblematico di una campagna presidenziale “allo sbando”.
Ora sappiamo che Trump chiese a Manafort di farsi da parte perché erano emersi aspetti poco chiari su alcuni suoi affari come lobbista. Gli stessi affari per cui - a quanto sembra - viene arrestato oggi. E che non hanno nulla a che fare con Trump.
Rientrano, questi affari di Manafort, nel mandato investigativo del procuratore speciale Mueller? Questa è la domanda da farsi.
Una classica tecnica investigativa consiste nell’incastrare il pesce piccolo su qualche illecito, qualsiasi illecito, anche minore, per convincerlo, in cambio di un accordo, a cantare sul pesce grosso.
Negli Stati Uniti è una tecnica molto usata, considerata l’ampiezza degli accordi che l’accusa, soprattutto federale, può raggiungere con gli imputati.
Resta da capire se questa tecnica può essere utilizzata anche da un procuratore speciale, a cui è stato dato un mandato ben preciso, che non può trasformarsi in una “pesca a strascico”, nè tantomeno in un “mandato in bianco”.
Tra i peggiori difetti del carattere del popolo italiano, invece, possiamo sicuramente annoverare il modo di selezionare la classe dirigente, che ha fatto sì che per arrivare a Vittorio Veneto si dovesse prima necessariamente passare per Caporetto, senza poterla evitare. In Italia, infatti, prima di mettere al comando qualcuno di capace di condurre alla vittoria come Armando Diaz, si deve prima sperimentare il disastro sotto la guida di un Luigi Cadorna.
Quella bastò per schiantare
un premier fragile ed espressione di un establishment politicamente debole (in quel momento) come Enrico #staisereno
Letta.
Ora, invece, si va verso le elezioni e siamo sotto manovra di bilancio, per cui
la “sfiducia” del partito di riferimento è impensabile e comunque non sarebbe sufficiente.
Ecco quindi un’operazione un po’ più
complessa e raffinata: come "colpo di avvertimento", una mozione parlamentare contro la riconferma dell'attuale governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che fa sembrare
Gentiloni (e il Presidente della Repubblica) paladini delle banche ben al di là delle loro colpe, e Renzi - che è l'ispiratore della mozione - paladino
dei risparmiatori gabbati. Sì, proprio quel Renzi che è spesso inseguito, nelle sue apparizioni pubbliche, dai risparmiatori incazzati (anche lui, forse, al di là
delle sue colpe), e che ha come suo braccio destro Maria Elena Boschi, accusata ad ogni piè sospinto di conflitto di interessi per i grattacapi del padre per il crac della Banca Popolare dell'Etruria.
Vi è da dire, però, che la mossa di Renzi, per ora, è riuscita, perché Gentiloni, per motivi istituzionali, è
obbligato a difendere l’autonomia di Bankitalia, ovvero l’ente che ha avuto il compito di vigilare sulle banche, con i brillanti risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Mentre Renzi, nel frangente, è riuscito a rispolverare l'immagine del "rottamatore", che tanto gli fu utile nella conquista del PD, prima, e di Palazzo Chigi, poi.
Insomma, bisogna riconoscere che quando si tratta di scalare
la vetta verso il potere Renzi è bravissimo. Il problema è che, poi, è altrettanto scarso a governare, come hanno dimostrato quasi tre anni di governo e, soprattutto, l'incredibile, clamorosa, autolesionistica scoppola presa al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
A dir la verità era da un bel po' che non pagavano la propria quota di finanziamenti. Gli arretrati risalgono alla Presidenza Obama, che aveva sospeso i pagamenti nel 2011 a seguito dell'ingresso nell'Unesco della Palestina, ma questo ora per molti cultori del politicamente corretto e del culto obamista è sgradevole ricordarlo.
Oggi alla Casa Bianca c'è Trump, e la decisione di uscirne giunge tutt'altro che di sorpresa.
Piccolo particolare: la Tomba dei Patriarchi è il luogo dove, secondo la Bibbia, sono sepolti Abramo, Sara, Isacco, Rebecca e Lia. Insomma, è uno dei luoghi più importanti per la cultura (anche) ebraica.
E' evidente che dichiararlo sito "palestinese" può essere un'ottima decisione solo se si intende essere faziosi e prendere esplicitamente posizione nel conflitto israelo-palestinese - cosa che non compete certamente all'Unesco.
E' chiaro che un'organizzazione internazionale del genere - che dovrebbe promuovere il dialogo e non le divisioni tra i popoli - merita di essere totalmente azzerata e rifondata.
L'errore degli Stati Uniti è stato rientrarvi nel 2002, con Bush, senza essersi sincerati che la musica, in ambito Unesco, fosse effettivamente cambiata.
1. Il referendum di oggi sull'indipendenza della Catalogna è, tecnicamente, illegale. Ma questo, di per sè, non può e non vuole dire tutto. Sono convinto che anche Re Giorgio III del Regno Unito ritenesse illegale la Dichiarazione di Indipendenza delle sue colonie americane. Poi sappiamo com'è finita.
2. Tra Madrid e Barcellona, per quanto mi riguarda, che vinca il migliore. Madrid ha tutto il diritto di impedire la secessione della Catalogna (che, tra l'altro, vale quasi un quinto del PIL spagnolo); meglio, però, non usare la mano troppo pesante. I Catalani, se tanto la desiderano, fanno bene a lottare per l'indipendenza. Spero per loro, però, che poi sappiano cosa farsene (v. punto successivo). Comunque, ricordarsi sempre: le rivoluzioni (vere) non sono pranzi di gala.
3. La secessione dalla Spagna significa, per la Catalogna, anche l'uscita dall'Unione Europea. Vale infatti la "dottrina Prodi", che è molto semplice: esci da uno Stato membro? Esci anche dall'Unione. Quindi, stiamo parlando a tutti gli effetti di #CatalExit. L'hanno spiegato bene ai Catalani? Io sospetto di no.
4. Rientrare nell'Unione Europea, poi, per la Catalogna non è scontato. Servirebbe il voto favorevole di tutti gli Stati membri, Spagna in primis. Difficile che votino a favore anche altri Stati membri che hanno, al loro interno, problemi con movimenti separatisti. D'altro canto, se Bruxelles si dimostrasse favorevole agli indipendentisti dei vari Stati membri, temo che sarebbe la fine dell'Unione, che già se la passa male di suo.
5. Nota per i media "seri": per coerenza, non si dovrebbe osteggiare la #Brexit e, al tempo stesso, simpatizzare con la #CatalExit.
6. Vedo che il sindaco di Barcellona, Ada Colau, sta diventando eroina della giornata, almeno per i media italiani, che la intervistano spesso e volentieri approfittando del fatto che parla la nostra lingua. Ricordarsi che è lo stesso sindaco che non ha protetto cittadini e visitatori di Barcellona: nonostante i numerosi avvertimenti, nessuna barriera proteggeva l'area pedonale delle Ramblas il giorno dell'attentato del 17 agosto scorso.
Following
a tradition set by past Presidents, at the last minute of his tenure,
Barack Obama left a handwritten personal letter for the new White
House tenant, Donald Trump.
The
content of this letter had not been made public until today's CNN"scoop"; CNN claims to have received a copy of the letter
from one the visitors to whom Trump would have shown it in these
months. Therefore, it would be only the last “leak” from the
White House since January 20 to date. This is odd, because Trump
could have made the content of the letter public, as the White House
did in previous cases.
But
let's leave aside the topic of the "leaks" (real or
invented) from the Trump administration; it is more interesting, for
now, to focus on the content of the letter.
The
most striking thing is that it contains at least two errors (or at
least this is what it seems according to the transcription published
by CNN).
The
first one appears to be a syntax error. CNN, as an act of kindness,
seems to have inserted a "to" that remained in Obama's pen.
But
the letter also contains a second error, much more relevant.
Now,
here Obama is clearly wrong.
Since
the end of the Cold War, in less than thirty years the world turned
into a real mess – into something that is exactly the opposite of
any kind of "order". Without going back to the 90s –
shattered by the wars in Yugoslavia, still to be entirely resolved in
Bosnia and Kosovo, or the massacres in Africa like the genocide in
Rwanda - let's just recall the most recent examples: Iraq,
Afghanistan, Georgia / Abkhazia -Ossetia, Ukraine / Donbass, "Arab
Springs", Libya, Syria, Isis; North Korea claiming to be a few
steps from the ability to launch intercontinental ballistic missiles
with nuclear warheads; Iran following the same path; a global
terrorist threat to which it seems we need to get “used to”; the
war in Mali, the regional conflicts in Africa, and so on.
So
it's hard to tell where and when Obama saw, during his presidency,
"steadily expanding" the international "order"
that he advises Trump to defend.
Consequently,
there are only two possible alternatives.
The
first one: Obama wanted to write international "disorder".
Therefore it is a spelling mistake, that unintentionally concealed a
more accurate description of the current geopolitical situation,
based on a rather cynical pragmatism devoted to the principle harm
reduction (a World War III fought piecemeal is better than a full
fledged World War III, right?).
The
second alternative: for eight years Obama governed trying to convince
himself that the mess he had before his eyes was some form of
"order." This would not be a spelling mistake, but a much
more serious conceptual mistake, that perhaps explains why the
international "disorder" dramatically worsened during his
presidency – as a consequence of his many mistakes and
uncertainties.
Seguendo la tradizione, all'ultimo minuto del suo mandato presidenziale Barack Obama ha lasciato una lettera personale, scritta a mano, per il nuovo inquilino della Casa Bianca Donald Trump.
Il contenuto di questa lettera non era stato reso pubblico, fino allo "scoop" di oggi della CNN, che ne avrebbe ottenuto copia da uno dei visitatori a cui Trump, in questi mesi, l'avrebbe mostrata. Si tratterebbe quindi dell'ennesima "indiscrezione" uscita dalla Casa Bianca dal 20 gennaio ad oggi. La cosa è curiosa, perchè Trump avrebbe potuto benissimo rendere pubblico il contenuto della lettera, come era accaduto in casi precedenti.
Ma lasciamo da parte la questione degli "spifferi" (veri o inventati) che escono dall'amministrazione Trump, perchè è più interessante, in questo momento, concentrarsi sul contenuto della lettera di Obama.
La cosa che balza agli occhi è che contiene almeno due errori (o almeno così sembra dalla trascrizione della CNN).
Il primo parrebbe un errore di sintassi. La CNN, bontà sua, sembra aver inserito un "to" che a Obama era rimasto nella penna.
Ma la lettera contiene anche un secondo errore, ancora più rilevante.
Ora, è evidente che anche qui Obama si è sbagliato.
Dalla fine della Guerra Fredda, in meno di trent'anni il mondo si è trasformato in un vero casino, altro che "ordine". Senza ricordare gli anni novanta - con le guerre in Jugoslavia, che non sono problemi ancora del tutto risolti soprattutto in Bosnia e in Kosovo, o i massacri in Africa come il genocidio in Rwanda - limitiamoci agli esempi più recenti: Iraq, Afghanistan, Georgia/Abkhazia-Ossezia, Ucraina/Donbass, "primavere arabe", Libia, Siria, Isis, Corea del Nord lanciata verso l'acquisizione della capacità di lanciare missili intercontinentali con testate nucleari, Iran avviato sulla stessa strada, la minaccia terrorismo a livello globale con cui ormai dovremmo "convivere", guerra in Mali e conflitti regionali in Africa, eccetera eccetera.
Lo scenario globale è talmente "ordinato" che una delle più citate affermazioni di Papa Francesco (del 2014, tra l'altro proprio di ritorno da un viaggio in Corea del Sud) è che "siamo entrati nella Terza Guerra Mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli".
Quindi è difficile dire dove e quando Obama abbia visto, durante la sua presidenza, "espandersi costantemente" l'"ordine" internazionale che consiglia a Trump di difendere.
Per cui le alternative sono due.
La prima: intendeva scrivere international "disorder", e si tratterebbe, quindi, di un errore di ortografia che ha involontariamente occultato una descrizione più accurata della situazione geopolitica attuale, basata su un pragmatismo piuttosto cinico ma votato alla riduzione del danno (meglio una Terza Guerra Mondiale a pezzetti di una Terza Guerra Mondiale vera e propria, no?).
La seconda alternativa: per otto anni Obama ha governato cercando di convincersi che il casino che aveva davanti agli occhi era una qualche forma di "ordine". Il che sarebbe un errore non di ortografia, ma di concetto, assai più grave, e che forse spiegherebbe come mai, il "dis-ordine" internazionale si è drammaticamente aggravato durante la sua presidenza, a causa dei suoi errori e delle sue incertezze.
Trump defends the neo-Nazis. Trump is a white supremacist and Ku Klux Klan
sympathizer. Trump is a racist. Trump, with his comments after the events of
Charlottesville, failed to comply with the minimum moral standards that must be
followed by the President of the United States. In fact, he’s just a crazy man.
This is the message, spreaded urbi
et orbi, by "mainstream media", Obama and Clinton supporters, pundits,
conformists, and generic lazy thinkers. But the reality is quite different.
To understand
the whole story, we need to put it into its context. And in order to do that, a
few premises are necessary.
First premise.
Claims of racism/neo-Nazism against Trump are a joke and politically motivated.
Trump is not a racist, as his personal, business and family history clearly
shows. Of course, liberal media time to time recall that old lawsuit for racial
discrimination filed against him for one of his NYC condos; but there was no sentence
for that controversy, that was closed with an agreement. On the other hand, it
should be remembered that Trump received an award, for example, in 1999, by
Reverend Jesse Jackson in person. That his son-in-law, Jared Kushner, husband
of his favorite daughter Ivanka, is Jewish. That Ivanka herself converted to Judaism
in order to marry Jared. That Trump is totally pro Israel, and a big friend of
Israel Prime Minister Netanyahu. The images of Trump's visit to the Western Wall
have traveled around the world. Obama, on the contrary, was very careful to
stay away from the Western Wall while he was President.
Second premise. The facts actually happened in Charlottesville can be
summarized as follows. The city of Charlottesville wants to remove the statue
of General Lee, head of the Confederate Army during the American Civil /
Secession War. It is a complex and delicate matter, touching wounds never completely
healed. A protest demonstration is organized, joined, of course, by neo-Nazis,
white supremacists, Ku Klux Klan, and other far right-wing groups, looking for
publicity. The local authorities deny their authorization. The American Civil
Liberties Union (ACLU) files a lawsuit before a federal court against the
prohibition. N.B .: ACLU is an organization that has, as its core mission, the
defense of constitutional freedoms, and certainly cannot be suspected of being friendly
with Trump. ACLU goes to court because it cares about the First Amendment of
the US Constitution (topic on which I will return later in this post). The
federal court authorizes the demonstration. Leftist militants organize a
counter-protest. Without any permit. The police basically stands down, at the
orders of a governor and a mayor both members of the Democratic Party, and very
hostile to Trump. The two factions inevitably come into contact and clash
(violent right-wing activits against violent left-wing activists). In this
temporal context, a crazy criminal drives his car into a crowd, killing a left-wing activist, Heather
Heyer.
Until to this point Trump has nothing to do with the whole story. He
enters into the picture only because, in crisis situations, everybody in the US
looks at the President for guidance. Trump makes a first statement right after
the events, saying generic things of good sense, condemning the violent acts
committed by both sides.
First “scandal”.
Trump’s remarks are criticized as "weak" and "too
tolerant". Democrats, main stream media, political conformists, and
"traditional" Republicans wanted the usual unilateral standard
condemnation of white supremacists, Ku Klux Klan and neo-Nazis, with which they
all would have agreed but would have resolved nothing. In other words, a statement
in Obama style. For example, right after the death of Michael Brown, an
African-American teen ager killed by a white cop, Obama did not hesitate to immediately
blame the cop; but his blame was later proved unfounded not only by a local
grand jury, but also by Obama’s own Department of Justice.
Trump, on this
one as well as many other issues, intends to differentiate himself from Obama, says
that wants to evaluate the facts before jumping to conclusions. That is why he,
first of all, on Saturday, condemned all the violents, of any side. On Monday,
he condemned the Ku Klux Klan, white supremacists, and neo-Nazis. On Tuesday he
renewed the explicit condemnation of the Ku Klux Klan, white supremacists, and neo-Nazis,
but also the condemnation of violent leftist militants.
Hence the chaos.
The blame against Trump is to have put "on the same level" neo-Nazis
and anti-racists.
But is it true?
Absolutely not.
Trump also answered to an explicit question in that regard. Give a look
at the video. (I recommend watching it all, especially from 17:16).
In short, the story reflects a well-established cliché: Trump says
something, the media and his opponents accuse him of saying the exact opposite.
The clash is powerful, particularly if you consider all the relevant factors
in play.
First factor. Racism and the awful heritage of racial segregation are
very serious problems in the United States. From the point of view of the
federal legislation, they were dealt with only fifty years ago. From a
practical, real point of view, the wounds are open, and discriminations and
inequalities still exist, a lot. From a political point of view, it is a
delicate matter, because up to about sixty years ago, the Southern racists had
their own political home in the Democratic Party (yes, the one that later
became Obama’s party). Then they emigrated to the Republican party (yes, the party
that used to be Lincoln’s party, the President who abolished slavery). In
short, both parties have, in this regard, their skeletons in the closet.
Second factor. In the US, the political debate on this subject, like on
many others, is strongly ideological. The trend is to force a polarized “dialogue”
along predetermined categories. One of these categories is that the minorities
(African Americans, Hispanics, etc.) are supposed to vote for the Democratic
Party, whereas the white population is supposed to vote for the Republican
Party. Anyone who tries to exit from this scheme, or to break it – for example
by reasoning in terms of individual rights, rather than in terms of group
identity, and focusing on the relaunch of the internal economy in order to
solve the problems of marginalized and poor communities (like Trump does) – is instinctively
opposed, because it puts into question the fundamental pillars of the current
political discourse.
Third factor. In the United States, the First Amendment of the
Federal Constitution guarantees ample protection for the freedom of speech. Freedom
of speech is very broad, much broader than, for example, in Italy, where the marches
of neo Nazis, Ku Klux Klan or white supremacists, that we see in the United
States, are not allowed. The Charlottesville event had been authorized, as I said
before, by a federal judge. The radical difference between the United States
and Italy (and Europe in general) on this subject has obvious historical roots.
Italy and Europe, at one point, all fell into the dark hole of dictatorships.
The United States were able to stay immune from totalitarism, and to continue
to believe in the principle of the "free market of ideas", i.e. in the
free competition of ideas. In other words, in the belief that horrible ideas can
be defeated not suppressing them, but putting them in competition with other
ideas. The First Amendment, and its legal implications, set the perimeter of
the confrontation between Trump and his opponents in the last days. If we do
not realize this, we do not understand what is happening, and, more generally, we
do not understand the United States.
Fourth factor. In the United States, there is a serious problem of
political violence. With Obama at the White House, racial tensions were only partially
sublimated in the debate - often harsh, at times violent – on the allegations
of brutality and racism moved against the police (Black Lives Matter vs. Blue
Lives Matter). After the election of Trump, there have been numerous cases of
political violence by so-called "Antifa" (militant
"antifascists"). There have been also extremely serious individual
episodes of political violence, such as the attempted murder of a Republican Congressman
very close to Trump, Steve Scalise. But it must be remembered that also during
the Obama presidency a democratic Congresswoman, Gabrielle Giffords, survived
an assassination attempt that left her with a sever brain injury (and killed
six other people). In short, the problem of political violence, in the US, is
serious, very delicate, and must be addressed with sense of responsibility from
all sides.
Fifth factor. In this context, the debate on the First Amendment is heated
and divisive. Lately, the Left has started to claim the right to suppress the
freedom of manifestation of speech by subjects whose ideas are deemed unacceptable,
such as neo-Nazis, Ku Klux Klan, white supremacists, etc. In sum, the Left aims
to assume the right to exercise, at its own discretion, a sort of
"heckler's veto" – that means the possibility to curtail or restrict
the speaker’s right, not for reasons of public order (as the technical
definition of this legal concept wants), but for purposes – defined by the Left
itself – of "democratic and anti-racist vigilance". In practice, the
Left wants to make the United States much more similar to Europe, also for
reasons of political calculus (to compete in the "free market of
ideas" is difficult; it is much easier to compete in a less pluralistic
and more conformist environment). Unfortunately, the step to the justification
of the use of political violence to “safeguard" minorities considered worthy
of protection, is very short.
Here is where Trump comes into play. He bursts in this debate like an alien subject, like
something totally extraneous and different. According to Trump, the main role
of the President is not to distribute moral judgments or excommunications (like
Obama did, instead, in the case of Michael Brown, causing division and
resentment), but above all to guarantee law and order, and protect the
Constitution. And all its Amendments. Including the First one. The Amendment
that, as we have said before, recognizes the right to free speech also to subjects
who have horrible ideas. In the conviction that horrible ideas can be defeated not
suppressing them, but putting them in competition with other ideas. This is a
belief shared not only by Trump, but above all, by the Framers of the Federal
Bill of Rights. And there is a reason if the First Amendment is, among all, the
first one. Trump is not a man of ideology, but a pragmatic. He is not a racist.
Until his successful run against Clinton, Democrats were friends with him and
appreciated his donations. More simply, Trump does not believe in the right of the
Left to decide which ideas can be expressed, and which ones must be suppressed.
He does not believe in the right of the Left to exercise a sort of
"heckler's veto" that is not allowed by the US Constitution. Above
all, Trump does not believe that the Left is entitled to a moral pass-partout that
allows, in addition to the dictatorship of political correctness, also the use
of political violence.
Perhaps this is why the reactions to his remarks after Charlottesville have
been so virulent. Not only by those who, on the Western side of the Atlantic,
are working every day to demolish that almost unique experiment in the human history
that is represented – from an institutional point of view – by the United
States of America. But also by those who, on the European shore of the Ocean, have
never wanted to understand that experiment, or, because of superficiality or
malice, are ready to misinterpret it.