“Trump dichiara Gerusalemme capitale d’Israele”.
“Trump decide di spostare l’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme”.
“Trump mette a rischio il processo di pace in Medio Oriente”.
Ma è davvero così?
Andiamo con ordine.
È stato il Congresso degli Stati Uniti, ovvero l’organo legislativo, e non Trump, a dire per primo che Gerusalemme “dovrebbe” essere riconosciuta capitale d’Israele, e che l’ambasciata “dovrebbe” essere spostata da Tel Aviv a Gerusalemme. La legge è nota come Jerusalem Embassy Act e fu approvata nel 1995 a larghissima maggioranza in entrambi i rami del Congresso, quindi con supporto bipartisan.
All’epoca Presidente era Bill Clinton, il quale dimostrò tutto il suo coraggio politico-istituzionale su un argomento così delicato: non mise il veto, ma nemmeno firmò la legge, che entrò in vigore comunque, ma in virtù della norma della Costituzione che dà al Presidente massimo dieci giorni di tempo (“domeniche escluse”) per rispedire al mittente una legge approvata dal Congresso.
Tanto per chiarirci, nel 1995 Donald Trump pensava a tutt’altro, faceva l’imprenditore, era sposato con Marla Maples e faceva la pubblicità di Pizza Hut.
Ma allora come mai si continua a parlare di questo argomento - come se fosse una clamorosa novità - a distanza di ventidue anni? Perché la legge contiene una clausola che consente al Presidente di posticipare di sei mesi in sei mesi lo spostamento dell’ambasciata, se ritiene che la sicurezza nazionale sia a rischio.
I vari Presidenti che si sono succeduti - lo stesso Clinton, e poi Bush Jr. e Obama - si sono sempre avvalsi della clausola. Del resto, va considerato che negli Stati Uniti, titolare delle principali prerogative in materia di politica estera non è il Congresso ma il Presidente. La legge però non è mai stata abrogata, e ogni sei mesi il problema si ripresenta.
E qui arriviamo a Trump. Anch’egli, a giugno, si è avvalso della clausola di rinvio. Ed è stato sbertucciato per essersi rimangiato una promessa elettorale. Ma che abbia intenzione di attuare lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme lo sanno, da mesi, anche i sassi, perché è un impegno che ha preso fin dalle elezioni primarie del Partito Repubblicano.
Il punto è che Trump ha dimostrato la tendenza a mantenere molte delle sue promesse, soprattutto le più controverse - cosa che lo differenzia dai politici “di professione”. Per cui se i leader arabi non l’hanno capito e pensavano che The Donald avrebbe lasciato perdere hanno commesso un errore di valutazione. Ricordiamoci che solo un paio di mesi fa Trump ha deciso di ritirare gli Usa dall’Unesco, a causa della linea anti-israeliana di quella branca del sistema Onu (ed alla faccia di coloro che lo accusano di anti-semitismo).
Resta da analizzare la terza affermazione. La decisione di Trump metterà davvero fine al processo di pace in Medio Oriente? Considerato l’argomento ci vorrebbe un indovino, e io non lo sono. Al momento, in realtà, non si sa nemmeno quale sia, esattamente, la sua decisione. Mi viene, però, da proporre, a mia volta, una domanda: ma siamo proprio sicuri che in Medio Oriente sia ancora in corso un processo di pace che possa essere messo a rischio dalla decisione di Trump (qualunque essa sia)?
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