mercoledì 15 novembre 2017

Per vincere, occorre mentalità vincente. E il calcio italiano l’ha persa.

Per chi non si interessa di calcio, la mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali di Russia 2018 può essere un evento trascurabile.
Non sono d’accordo, per almeno tre motivi.
Primo: il danno per il movimento calcistico e per l’indotto che gli gira intorno è nell’ordine di milioni di euro.
Secondo: quando vengono meno i “circenses”, è più facile avvertire la carenza di “panem”. Il calcio è, volenti o nolenti, lo sport nazionale o comunque più popolare, e quindi un formidabile strumento di controllo sociale. Non sia mai che a giugno 2018, in troppi, non potendo dedicarsi alle grigliate e connesse libagioni e discussioni pre e post partita, ci si accorga che un argomento di cui parlare è - ad esempio -  la disoccupazione giovanile è al 30%.
Terzo: sicuramente non trascurabile è il modo in cui il “sistema Italia” (media, tifosi, istituzioni) sta reagendo a questo tracollo sportivo. 
Poiché lo sport è spesso metafora perfetta della vita, la reazione di questi giorni ci rivela molti tratti di quello che è, o è diventato attualmente, il carattere nazionale. Si sprecano le reazioni piagnone, vendicative, le rivalse tra Guelfi e Ghibellini, l’arroccamento nel posto di potere. Un panorama desolante, in cui è difficile trovare una voce autorevole e non compromessa con il “sistema”. 
Il calcio italiano non solo ha perso la capacità di vincere, ma, ciò che è peggio, ha perso la mentalità vincente.
Ma poiché, grazie al cielo, siamo l’Italia e - volendo - le risorse le abbiamo, è possibile non solo recuperare la mentalità giusta, ma anche, grazie ad essa, tornare a vincere.
Non so chi potrebbe essere il nuovo Commissario Tecnico della Nazionale, o il nuovo Presidente della Federcalcio.
Sono però convinto di una cosa: l’esempio più fulgido di mentalità vincente lo abbiamo avuto e in parte lo abbiamo ancora in casa, in quel magnifico sport che si chiama pallavolo, introdotto dal mio idolo di gioventù Julio Velasco, il tecnico che ha portato (quasi) sul tetto del mondo.
Se vogliamo un’altra “Generazione di Fenomeni” anche nel calcio, cominciamo a proiettare questo video nelle scuole, nelle università, nei centri sportivi, nelle aziende. 
Sarà il primo passo nella direzione giusta.




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