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venerdì 24 gennaio 2020

Con Trump le “linee rosse” tornano ad essere invalicabili

(Comparso su Atlantico Quotidiano del 3 gennaio 2020)

Piccola premessa: chi scrive aveva un debole per il generale Soleimani. Almeno da quando, nel 2008, mandò al generale Petreaus, all’epoca comandante in capo delle forze Usa in Iraq, un messaggio in cui affermò di avere in mano la politica dell’Iran in Afghanistan, Iraq, Libano e Gaza. Un combattente a viso aperto ed un uomo di indubbie qualità. Che, per di più, aveva anche uno stupendo profilo Instagram – ora, a quanto pare, rimosso – con cui, poco più di un anno fa, aveva ingaggiato un leggendario scambio di meme con il presidente Trump.
Fatta questa doverosa premessa una cosa è chiara.
L’attacco all’ambasciata Usa di Baghdad è finito, almeno per il momento, in maniera molto diversa rispetto all’attacco al consolato Usa di Bengasi dell’11 settembre 2012.
A Bengasi, gli Usa subirono quattro vittime, tra cui l’ambasciatore Cristopher Stevens. Nel frangente la gestione della sicurezza della sede diplomatica fu uno scandalo drammatico e umiliante, che fece vacillare la presidenza Obama e che ancora oggi perseguita Hillary Clinton, all’epoca segretario di Stato.
A Baghdad, durante l’attacco del Capodanno appena trascorso, non solo la sicurezza della sede diplomatica è stata garantita con pronto e adeguato spiegamento di marines, ma, subito dopo, il presidente Trump ha reagito ordinando un attacco aereo all’aeroporto di Baghdad che ha ucciso, tra gli altri, il generale Qassem Soleimani, capo della Niru-ye Qods (in lingua persiana “Brigata Gerusalemme”, Quds Force secondo la stampa occidentale), l’unità delle Guardie Rivoluzionarie (i famosi Pasdaran) responsabile per la diffusione dell’ideologia khomeinista fuori dalla Repubblica Islamica. Un’unità a cui l’amministrazione Trump ha riservato il “privilegio” di essere la prima organizzazione militare ufficiale di uno Stato sovrano ad essere inserita nella lista del Dipartimento di Stato che elenca le organizzazioni terroristiche. Per questo suo ruolo, Soleimani è stato subito indicato come l’“ispiratore” ultimo, se non la “mente” dell’attacco alla sede diplomatica Usa.
Bengasi e Bagdad sono due vicende che, a modo loro, mostrano come il Medio Oriente sia un tragico groviglio di difficile soluzione, in cui contano, però, sempre di più, le “linee rosse”.
L’amministrazione Obama non ha esitato a giocare, nell’area, il ruolo dell’“apprendista stregone”, supportando e manipolando le “primavere arabe” per compiere le proprie operazioni di “regime change”. Con il risultato, però, drammatico e sotto gli occhi di tutti, di lasciare spazio agli estremisti. Inoltre, le “linee rosse” che venivano di quando in quando tracciate, non erano proprio invalicabili, ma orientative. Come dimostra – un esempio tra tutti – il fatto che il presidente siriano Assad sia ancora al suo posto. Obama dichiarò a luglio 2015 che Assad doveva essere rimosso, cosa non avvenuta, proprio grazie all’aiuto decisivo del generale Soleimani.
Per Trump, invece, il Medio Oriente è un’area di guerre che, innanzitutto, non avrebbero dovuto essere iniziate, e da cui, ora, gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi. E questo non perché Trump sia una colomba, ma perché, da pragmatico abituato a far di conto, ritiene che si tratti di guerre che non possono essere vinte (“unwinnable”) ed inutilmente dispendiose dal punto di vista economico. Cosa che fa andare in bestia quel “complesso militare industriale” a stelle e strisce (e non solo) che, invece, le guerre le adora – soprattutto quelle lunghe e senza sbocco. E che, in fasi alterne, tenta di intrappolare Trump in una nuova fase bellica, o di farlo fuori politicamente.
Per Trump, però, le “linee rosse”, se tracciate, sono invalicabili. Ha sempre detto che avrebbe reagito severamente ad attacchi diretti contro gli interessi americani, e soprattutto contro le forze Usa. Ha tenuto il timone saldo rispetto alle provocazioni iraniane nello stretto di Hormuz. E forse a Teheran hanno frainteso il suo atteggiamento, considerandolo – sbagliando – espressione di debolezza. Quando l’Iran ha superato il limite – una “linea rossa” chiaramente percepibile come solo l’attacco ad un’ambasciata può essere – ha reagito rapidamente e duramente. Un monito per tutti coloro che – in Iraq, in Iran, altrove – intendono oltrepassare le “linee rosse” tracciate dall’attuale inquilino della Casa Bianca.

venerdì 7 aprile 2017

Attacco chimico in Siria: la versione russa è credibile?

Come spesso accade quando gli Stati Uniti intervengono in questa o in quella parte del mondo, le reazioni dell'opinione pubblica, in prevalenza, si allineano lungo le coordinate di consolidati pregiudizi ideologici:
- gli antiamericani non putiniani pensano che alla base ci sia un complotto demo-giudo-pluto-massonico;
- gli antiamericani "amici di Putin" credono alla versione del Cremlino, che del resto, da decenni, è la più avanzata agenzia di propaganda e disinformazione del mondo;
- i filoamericani stanno zitti.


Nel mezzo, pochi, pochissimi si concentrano sui fatti, sulle informazioni disponibili, per maturare una propria opinione.
Quello che sta accadendo in queste ore, relativamente all'attacco chimico in Siria e all'intervento Usa, ne è l'ennesima riprova.
Navigando sui social media, mi imbatto in molte persone - che stimo - che ritengono credibile la versione russa, secondo cui non vi sarebbe stato un attacco chimico da parte di Assad, ma si sarebbe trattato, in sostanza, di un "incidente": ovvero, ovvero, sarebbe stato, sfortunatamente, bombardato un deposito di armi chimiche in mano ai ribelli.

FERMI TUTTI

Ora, io non sono un esperto di armi chimiche, ma ho il brutto vizio di farmi domande. Ed invito queste persone - che stimo - a farsele anche loro.

Prima domanda: se le cose stanno così, vuol dire che i ribelli hanno le armi chimiche? 


Ma questa la lasciamo, per il momento, da parte.

Seconda domanda (più importante per motivi di cronaca): la versione russa è TECNICAMENTE POSSIBILE?

Gli esperti DICONO DI NO.

Copio e incollo da questo articolo della BBC:

"Hamish de Bretton-Gordon, a former commanding officer of the British Armed Forces Joint Chemical Biological Radiological Nuclear (CBRN) Regiment, said it was "pretty fanciful".


"Axiomatically, if you blow up Sarin, you destroy it," he told the BBC.

Chiaro?

Se bombardi il Sarin (perchè di Sarin, sembra, che si sia trattato), non crei una nube tossica, come vogliono far credere i Russi, ma lo distruggi.

Questo lo dice, testualmente, un esperto della materia. Sulla BBC.

Per cui, delle due l'una: o è in atto un complotto su scala globale, ordito per consentire a Trump di sparare 50 missili su un'installazione militare siriana - complotto che sarebbe. a dir poco, eccessivo, visto che gli Usa hanno bombardato in Siria centinaia di volte nel corso del conflitto.

Oppure - ed è la spiegazione più semplice, e a mio modesto parere più convincente - la versione russa, semplicemente, non regge. 


Alla Casa Bianca non c'è più un "signor tentenna".

I segnali che Trump avrebbe agito in Siria c'erano tutti.

5 aprile 2017. Primo segnale: l'intervento al Consiglio di Sicurezza dell'Onu del rappresentante permanente USA Nikki Haley (stella nascente del Partito repubblicano, tra l'altro). L'attacco alla Russia è stato esplicito: "Quanti altri bambini dovranno morire perché alla Russia importi?".
Guardare il video, Guardare la faccia dell'ambasciatore russo al minuto 3:41. Attonito, quasi incredulo.


5 aprile 2017. Secondo segnale. La conferenza stampa congiunta durante la visita del re Abdullah di Giordania, fondamentale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente.  Trump ha aperto il suo intervento condannando l'orribile attacco chimico contro gente innocente, "women, small children, and even beautiful little babies". Trump ha parlato di "affronto all'umanità", ha detto chiaramente che condotte del genere da parte del regime di Assad non sarebbero state più tollerate. Subito dopo, Trump ha lodato le capacità militari del re Abdullah.


6 aprile 2017. Infine, l'attacco. Nelle intenzioni, un'azione militare "chirurgica", una ritorsione diretta contro la base da cui è partito l'aereo che ha condotto l'attacco chimico.
Piccolo, grande particolare: in quella base c'erano anche militari russi. Sono stati preavvertiti, e sono stati evacuati prima dell'attacco.

Il segnale mandato da Trump alla Russia non avrebbe potuto essere più esplicito. E' venuta meno al ruolo di "alleato-garante" di Assad che Obama le aveva consentito, e gli Usa hanno agito di conseguenza.
L'obiettivo chiaro di Trump è quello di ristabilire il ruolo di leadership degli Stati Uniti nella gestione del conflitto siriano, dopo che la Russia, inadempiente, ha screditato il proprio ruolo. Da notare l'appello di Trump a tutte le "Nazioni civilizzate" perchè cooperino con gli Usa per la fine del conflitto.


I media registrano con sorpresa il "cambio di rotta" di Trump in Siria.
In realtà, si tratta di un "cambio di rotta" solo della "caricatura di Trump" che gli stessi media hanno propalato ormai da un anno e più.
In realtà, per chi segue con attenzione quello che Trump fa e dice, l'azione in Siria è tutt'altro che sorprendente.

Perchè Trump non è un ideologo. È un pragmatico. 

Gli è ben chiaro che la fine del conflitto in Siria, e, con esso, la fine del terrorismo globale che in tale conflitto trova le proprie radici, e, più in generale, la stabilità del Medio Oriente, sono nell'interesse primario degli Usa.
Così come gli è ben chiaro che è nell'interesse degli Usa il contenimento del ruolo della Russia, soprattutto se non costituisce fattore di stabilità.
Trump ha fatto quello che Obama aveva annunciato nel 2013, con lo sciagurato proclama della "linea rossa" superata da Assad in occasione di un altro attacco chimico, salvo poi fermarsi. Commettendo uno dei più gravi errori della sua presidenza, forse il più grave. Perchè è stata l'inazione di Obama che ha consentito alla Russia di assumere il ruolo di "alleato-garante" di Assad, e, al tempo stesso, una presenza ed un peso nello scacchiere mediorientale che mai Putin, in precedenza, si sarebbe sognato.

Ora la musica è cambiata. A Putin (ma anche a Teheran, altro alleato di Assad), Trump ha voluto chiaramente dire che alla Casa Bianca non c'è più un "signor tentenna".  

Oltre al pragmatismo, l'azione Usa in Siria dimostra un altro tratto della politica estera di Trump. Il nuovo Presidente Usa è disponibile a riconoscere ad altre superpotenze (Russia, Cina) il ruolo di "garanti" in determinate situazioni di crisi. Ma se esse non adempiono a questo ruolo, gli Stati Uniti sono pronti ad intervenire da soli. 

Il segnale per la Nord Corea non potrebbe essere più chiaro. Più di qualcuno, a Pyongyang, avrà sentito le orecchie fischiare per il rombo dei missili Tomahawk Usa lanciati sulla base aerea siriana di Al Shayrat.

Così come non poteva essere più chiaro il segnale per l'"alleato-garante"della Corea del Nord, ovvero Cina. Del resto, i missili Usa sono partiti nelle stesse ore in cui Trump era a cena con il Presidente cinese. E diceva ai giornalisti, che, dopo il primo colloquio, aveva stabilito le premesse per un'"amicizia" con il leader cinese, senza però "aver ancora ottenuto nulla" in cambio.


Letture - L'errore di calcolo di Bin Laden

L'articolo " Bin Laden’s Catastrophic Success " di Nelly Lahoud, pubblicato su Foreign Affairs nel settembre/ottobre 2021 , c...