domenica 25 agosto 2013

La non secondaria differenza tra ciò che i militanti abortisti desiderano e ciò che la legge dice

In fondo a questo post copio e incollo un articolo comparso su "Il Corriere di Verona" di oggi, che si scaglia contro una convenzione stipulata tra l'USL 16 di Padova e il "Movimento per la Vita". Tale convenzione consente ai militanti di tale Movimento di tenere uno sportello presso l'Ospedale di Piove di Sacco e - sommo scandalo per l'Autrice dell'articolo! - di far circolare i suoi militanti "liberamente nelle corsie per convincere la donna incinta a rinunciare all'aborto".

Articolo a dir poco incredibile, soprattutto nei toni. Per questo consiglio di leggerlo prima di proseguire nella lettura di questo post, così risulterà più chiaro ciò che intendo dire.

Ricordo all'Autrice che secondo la nostra legge (194/78) l'aborto non è strumento per rimediare a problemi di carattere economico o per porre in essere pratiche eugenetiche, ma che: " (Art. 4) la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia".

Quindi la ratio della legge è proteggere la salute fisica o psichica della donna, che può essere certamente determinata da condizioni economiche o da previsioni di anomalie o malformazioni del concepito; ma da qui a dire che le motivazioni dell'aborto sono - sic et simpliciter, come pare fare, con levità, l'Autrice - economiche o eugenetiche, ce ne passa. Anzi, devo dire che l'idea dell'aborto prefigurato - sic et simpliciter - come pratica eugenetica fa a dir poco rabbrividire.

E inoltre, e soprattutto, sempre secondo la legge: "(art. 5) Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto".

Pertanto, in base a quanto è sinteticamente riportato nell'articolo, la convenzione tra il "Movimento per la vita" e l'USL 16 di Padova appare in linea al dettato della legge. Non vi è dunque alcuna "libertà negata", come sostiene l'Autrice, ma l'applicazione di quanto previsto dal nostro ordinamento. Fermo restando che il giudizio definitivo deve essere differito alla prova dei fatti, ovvero alla verifica di come, in concreto, questa convenzione funzionerà e se davvero le modalità pratiche di sua applicazione saranno conformi a quanto previsto dalla normativa.

Ma il punto è un altro.

Il punto è che l'Autrice dell'articolo vorrebbe - sbagliando - che le donne fossero lasciate sempre da sole di fronte alla prospettiva di una decisione così drammatica, quale è quella di abortire. Ma, come si è visto, non è ciò che stabilisce la legge. Anzi, a voler "emergere allo scoperto, infischiandosene di leggi" - per usare la terminologia dell'articolo - pare essere proprio l'Autrice.

* * *
Ecco l'articolo comparso oggi 25/8/2013 su "Il Corriere di Verona", in prima pagina.

IL CASO DELL'USL PADOVANA - ANTIABORTISTI LIBERTA' NEGATA
di GABRIELLA IMPERATORI
L'anima bianca del Nordest, che ha alle spalle secoli di etica controriformistica, austro-ungarica, democristiana, curiale, tenta ancora una volta di emergere allo scoperto, infischiandosene di leggi, problemi sanitari, economia, psicologici, ma preoccupata più che altro di non dispiacere alle direttive della Chiesa. Si tratta stavolta della convenzione quinquennale stipulata fra l'Usl 16 di Padova e l'ospedale di Piove di Sacco: il «contratto» consente ai volontari del «Movimento per la vita» non solo di disporre di uno sportello ove con la donna che intende abortire si possa prima tentare un consulto, ma addirittura di circolare liberamente nelle corsie per convincere la donna incinta a rinunciare all'aborto. Ho detto che si tratta di un tentativo, perché la notizia ha già scatenato una bufera di polemiche. Ma come? Non basta una legge che ha quasi mezzo secolo, ribadita da referendum popolare, e che ha non solo evi tato le operazioni cruente e talvolta mortali dell'aborto clandestino, ma ha sensibilmente ridotto il numero delle interruzioni di gravidanza? Non basta il numero spropositato di obiettori, pari nel Veneto all'8o per cento circa fra personale medico e paramedico, non sempre per motivazioni morali ma anche cameristìche, che costringe le donne che scelgono di abortire ad attese, sofferenze, dubbi laceranti, insomma ad allungare i tempi di quello che per tutte è un dramma dolorosissimo? Non basta che perfino la pillola del giorno dopo (che non è abortiva) sia mal vista e crei difficoltà a chi vuole ottenerla? Non basta che la libertà di scelta della donna, garantita dalla legge 194, venga di continuo osteggiata? Non si tratta qui di riaprire il dibattito su una pratica certo discutibile, che si deve cercar di ridurre il più possibile. Le cause dell'aborto, come ognuno sa, sono molteplici e articolate: vanno da motivazioni economiche, eugenetiche, psicologiche, di età, ricondudbili comun que sempre al fatto che se una donna non se la sente di diventare madre possa rinunciarvi, senza per questo essere colpevolizzata come un'assassina. Lo scopo è che un bambino, che non ha chiesto di nascere, sia davvero benvenuto da chi gli darà la vita, non sia un errore o un inciampo. Naturalmente i volontari del movimento assicurano di agire con sensibilità, limitandosi a offrire la possibilità di alternative (a cui le donne hanno certamente già pensato), di fatto però creando confusione e angoscia in persone già provate. E, inoltre, ricordando che per un periodo (18 mesi) la donna che terrà il figlio sarà aiutata economicamente a comperare latte, pannolini, abitini e quanraltro. Ma dopo? C'è un contratto che assicura denaro, cure, vicinanza psicologica per qualche lustro o decennio? E' poi giusto proporre, come talvolta si fa, di portare avanti in ogni caso la gravidanza per magari abbandonare, il neonato all'adozione? È importante solo la vita o anche, per neona ti (come per malati o disperati) la sua qualità e il diritto di viveria con dignità? Su questo ed altro occorre rispettare la coscienza della donna, e m subordine del suo compagno, se ce l'ha. E in ogni caso nella piena osservanza della legge statuale. Altrimenti si può arrivare a forme di violenza psicologica, deleteria m particolare per le persone più deboli".

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