Il giorno dopo lo "scoop" sul "memo" di Comey (vedi post precedente), il New York Times ha pubblicato un articolo di Elizabeth Foley, professore di diritto costituzionale al Florida International University College of Law, che contraddice direttamente lo "scoop" e, soprattutto, le implicazioni che gli oppositori di Trump ne hanno voluto trarre.
La prof.ssa Foley, infatti, spiega in punta di diritto perchè, anche qualora la ricostruzione del New York Times fosse corretta, Trump non avrebbe commesso nulla di penalmente rilevante. Non ci sarebbe stato, quindi, alcun "intralcio alla giustizia". No impeachment, quindi.
Ma come? Come è possibile che lo stesso giornale pubblichi sulle proprie colonne, ad un giorno di distanza, due articoli di significato diametralmente opposto?
E' possibile eccome.
Almeno per tre motivi:
1. l'editoriale della prof.ssa Foley serve a ristabilire al credibilità del New York Times per il pubblico "tecnico";
2. implicitamente, l'articolo insiste, di fatto, sulla tesi che il "memo" di Comey esista;
3. sempre implicitamente, l'articolo scagiona lo stesso Comey da possibili guai per non aver denunciato a chi di dovere le "pressioni" di Trump (se non ci sono state pressioni penalmente rilevanti, Comey ha fatto bene a non denunciarle).
Poco conta che la contraddizione logica con lo "scoop" del giorno prima sia stridente. Tanto dello "scoop" (anche se non corroborato) parlano tutti, mentre dell'articolo della prof.ssa Foley, molti meno. E, soprattutto, è stato raggiunto lo scopo politico che la fonte del New York Times, probabilmente, intendeva ottenere: la nomina di uno "special counsel" per il coordinamento delle indagini sul "Russiagate".
Si tratta solo di un ennesimo episodio di "guerriglia" mediatica, in particolare di quella "guerriglia" scatenata dalla stampa liberal contro Donald Trump
Altri esempi?
Questo articolo della Reuters in cui si afferma che sono stati rivelati altri diciotto contatti tra la campagna Trump e esponenti russi. Se ci si ferma al titolo (come molti fanno, nell'era delle notizie lette sullo smartphone), sembra roba grossa. "Annegata" nelle pieghe dell'articolo vi è però la precisazione che gli investigatori che hanno esaminato queste diciotto comunicazioni hanno concluso che non vi è traccia di "collusione" tra la campagna Trump e la Russia di Putin.
Ultimo esempio, questo: un senatore repubblicano avrebbe affermato che "Putin ha pagato Trump". A prima vista, un'altra bomba atomica. Ma, anche qui, se si legge tutto, ci si rende conto del fatto che si tratterebbe di una battuta, di una vera e propria barzelletta. Tuttavia la battuta, nei titoli, è stata divulgata come se fosse una notizia seria.
Questo è il livello della "guerriglia" mediatica tra la stampa liberal e il Presidente Trump. Occorre quindi utilizzare una doppia dose di spirito critico, se si vuole distinguere tra la "fuffa" (tantissima) e la sostanza (quasi nulla). Soprattutto, se si legge solo la stampa italiana, che quasi sempre riporta di "seconda mano" quello che la stampa liberal americana scrive.
Magari nei prossimi giorni scriverò qualcosa sulle tecniche che Donald Trump utilizza per controbattere, soprattutto con i suoi tweet (che, non a caso, tanto fastidio danno ai suoi oppositori).
Per ora mi limito a questa citazione della prof.ssa Foley (l'autrice dell'articolo di cui ho parlato in apertura), dedicata agli oppositori di Donald Trump, e che condivido parola per parola: "Crying wolf undermines the credibility of the opposition, further divides an already deeply divided country and breeds cynicism about American institutions that is as dangerous to our republic, if not more, than outside meddling".
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