Il libro di Michael Wolff "Fire and Fury - Inside the Trump White House" contiene un sacco di fandonie, per ammissione del suo stesso autore (come ho spiegato nel mio post precedente). Leggendolo, ci si rende conto che è un libro così maldestro nel tentare di sostenere le sue "tesi" raffazzonate, da risultare quasi comico. E l'autore dimostra di essere molto spregiudicato e soprattutto un bell'individualista, perché nel dare alle stampe il suo libro, non si è reso conto che nel giro di qualche decina di pagine smonta - involontariamente - la narrativa del "Russia gate" su cui tanto si sono concentrati, nel 2017, gli oppositori di Trump (al cui campo, di certo, Wolff appartiene).
La tesi portante del secondo capitolo del libro è che Trump non solo era sicuro di perdere le elezioni, ma che, anzi, non ha mai avuto intenzione di vincerle. L'obiettivo vero di Trump sarebbe stato quello di diventare celebre e lanciare un nuovo network televisivo di destra. Varie scelte controverse della campagna Trump (che hanno indotto gli "esperti" ad accusarla di essere inadeguata, amatoriale, sotto organico, sotto finanziata, etc.) sarebbero state fatte proprio perché l'obiettivo, in realtà, non era vincere, perchè "perdere sarebbe stata comunque una vittoria". Uno dei retroscena riferiti da Wolff, è che Trump avrebbe addirittura promesso a Melania che non avrebbe vinto. E lei, la notte delle elezioni, avrebbe pianto lacrime amare, di fronte alla prospettiva di lasciare la sua dorata vita newyorkese.
Il problema è che anche a scriverla, la "tesi" di Wolff, fa scappare da ridere. Trump era già celebre (anzi, super celebre) prima delle presidenziali 2017, e non aveva certo la necessità di candidarsi a Presidente per diventare ancora più famoso, né per fondare un nuovo network televisivo. E poi, basta guardare la faccia di Melania la notte della vittoria: non sembra proprio quella di una che l'abbia presa poi così male!
(Per fortuna che esiste Youtube: guardate dal minuto 3:30).
La verità è che Trump si è candidato per diventare il leader di un movimento politico, con il quale lanciare un'"Opa" sul Partito Repubblicano. E' possibile che, dentro di sé, abbia avuto dubbi sulla vittoria (ma non lo ammetterà mai, significherebbe smentire il suo stile di approcciare la vita). Ma il modo in cui ha fatto campagna elettorale, soprattutto nelle ultime settimane, dimostra che, alla fine, ci credeva eccome, nella vittoria. Mentre la Clinton si riposava sicura di essere già Presidente, Trump saltava da uno Stato incerto all'altro a bordo del suo aereo, facendo più comizi nello stesso giorno. Anche allora, ovviamente, gli "esperti" lo deridevano, dicendo che sprecava il suo tempo in Stati dove non aveva possibilità di vittoria. Salvo essere clamorosamente smentiti.
Michael Wolff dimostra dunque di essere poco più che un cacciatore di gossip (di dubbio livello), ed un pessimo analista politico, perché non ha neppure lontanamente compreso l'operazione politica alla base della candidatura di Trump, fondata su due presupposti fondamentali. Il primo, è che entrambi i partiti (Repubblicano e Democratico) erano - e sono - fratturati tra l'"establishment" e un'area populista, nel Partito Democratico capeggiata da Sanders; Trump si è infilato nella frattura presente nel campo repubblicano, e ha sbaragliato tutti i contendenti. Il secondo, è che anche a fronte di questa situazione, una corsa da indipendente non aveva comunque possibilità di vittoria, resa vana dalle regole che proteggono il bipartitismo USA. Trump ha compreso questi presupposti, li ha fatti propri, e li ha posti alla base della propria campagna elettorale.
D'altronde, se avesse ragione Wolff, Hillary Clinton e gli altri candidati alle primarie repubblicane dovrebbero tutti andare a nascondersi: sono stati battuti da un dilettante della politica allo sbaraglio, che addirittura non desiderava vincere! Andiamo... Capite perché il libro di Wolff ha tratti di comicità?
Ma c'è un aspetto ancora più divertente, in questa vicenda. E cioè che un libro che ha l'unico, evidente scopo di danneggiare Trump, per l'imperizia del suo autore finisca per fargli - involontariamente - un enorme favore. E' evidente, infatti, che la "tesi" secondo cui Trump non aveva nessuna intenzione di vincere, fa crollare tutto il castello di accuse sul "Russia gate". Se Trump non voleva vincere, quale sarebbe stato, per lui, lo scopo di "colludere" con la Russia di Putin, per ottenere un ingiusto vantaggio elettorale? Nessuno! Michael Wolff non si è reso conto che, nell'ansia di vendere qualche copia in più, ha minato alle fondamenta la linea di aggressione portata avanti contro Trump dal circuito mediatico-democratico durante tutto il primo anno di presidenza. Quella stessa linea che avrebbe dovuto condurre in un battibaleno all'impeachment di Trump - se solo si fosse trovato uno straccio di prova...
Poco male! I media anti Trump non si curano del principio di non contraddizione, sono immuni da autocritica che non sia puramente formale e di facciata, e trovano comunque il modo di portare avanti la loro agenda. Qualunque cosa, per loro, va bene purché possa danneggiare la Casa Bianca - questa Casa Bianca. Ecco dunque che altre "indiscrezioni" contenute nel libro di Wolff vengono ora utilizzate per mettere in dubbio l'equilibrio mentale di Trump. Dove non si può arrivare con l'impeachment, si vorrebbe arrivare con il 25mo emendamento, quella norma della Costituzione degli Stati Uniti che regola la procedura per rimuovere un Presidente in carica. Una fantasia ancora più assurda dell'impeachment.
E' semplicemente sconcertante che i media Usa, nella loro foga anti Trump, si prestino a propalare certe assurdità, senza minimamente rendersi conto del danno che stanno facendo all'immagine del sistema politico americano. E non è un caso che giri notizia che i nemici degli Stati Uniti - ISIS in testa - stiano diffondendo una versione "piratata" del libro di Michael Wolff, con l'evidente scopo di danneggiare il loro nemico numero uno, che in questo momento siede nello Studio Ovale.
Agli occhi di un osservatore straniero, privo di pregiudizi e mediamente informato - cioè che si informa attraverso il "filtro" dei media del proprio Paese - nella migliore delle ipotesi da un anno a questa parte negli Stati Uniti devono sembrare tutti - ma proprio TUTTI - impazziti.
Occorre rassegnarsi. Le cose non miglioreranno finché in campo democratico non spunterà qualcuno che non si limiterà a rifiutare, in maniera infantile, la vittoria di Trump e ad avversarla con argomenti assurdi (prima il "Russia-gate", poi le accuse di "instabilità"), ma si deciderà finalmente ad affrontare le ragioni della sua affermazione elettorale.
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