mercoledì 29 novembre 2017

Chi va a studiare all’estero durante le superiori ha una marcia in più: un piccolo aneddoto

Da qualche tempo faccio parte del consiglio di amministrazione della Fondazione Maffei.

Una delle attività della Fondazione consiste Nell’elargire borse di studio a studenti universitari, per supportarli con un contributo economico nel percorso di formazione. Il processo di selezione avviene tramite la presentazione, da parte di ogni candidato, di un “progetto di studi”, in cui deve spiegare cosa intende studiare e perché. I vari progetti vengono, poi,  valutati dal consiglio di amministrazione, che sceglie i più meritevoli.

Dunque, il piccolo aneddoto è questo. Ho appena terminato la lettura delle candidature pervenute per il bando di quest’anno. I progetti sono i più diversi tra loro, per formazione e attuale percorso di studi dei candidati. Si va dallo studente di lettere classiche, a quello di ingegneria aerospaziale.

Una cosa, però, balza agli occhi. I candidati che, durante le superiori, hanno trascorso un periodo di studio all’estero hanno una marcia in più. Hanno le idee molto più chiare su cosa vogliono fare “da grandi”. Sono più determinati rispetto ai loro coetanei che non citano, nel loro curriculum, analoghe esperienze. Questi ultimi  hanno progetti - per quanto lodevoli e interessanti - più vaghi. E tendono ad affidarsi al presupposto implicito che una laurea sia ancora una garanzia di realizzazione. Cosa che non è, in un Paese, come l’Italia, con la disoccupazione giovanile al 30%.

Per cui genitori, fate un favore ai vostri figli. Se potete,  mandateli a studiare all’estero già durante le superiori.

(Mi è sembrata adatta al tema del post questa foto che ho scattato qualche settimana fa in una delle straordinarie sale di studio della New York Public Library)

P.S.: piccolo spazio pubblicità: se volete, potete ovviamente contribuire alle attività della Fondazione. Ad esempio indirizzandole il vostro 5 per mille!

mercoledì 15 novembre 2017

Per vincere, occorre mentalità vincente. E il calcio italiano l’ha persa.

Per chi non si interessa di calcio, la mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali di Russia 2018 può essere un evento trascurabile.
Non sono d’accordo, per almeno tre motivi.
Primo: il danno per il movimento calcistico e per l’indotto che gli gira intorno è nell’ordine di milioni di euro.
Secondo: quando vengono meno i “circenses”, è più facile avvertire la carenza di “panem”. Il calcio è, volenti o nolenti, lo sport nazionale o comunque più popolare, e quindi un formidabile strumento di controllo sociale. Non sia mai che a giugno 2018, in troppi, non potendo dedicarsi alle grigliate e connesse libagioni e discussioni pre e post partita, ci si accorga che un argomento di cui parlare è - ad esempio -  la disoccupazione giovanile è al 30%.
Terzo: sicuramente non trascurabile è il modo in cui il “sistema Italia” (media, tifosi, istituzioni) sta reagendo a questo tracollo sportivo. 
Poiché lo sport è spesso metafora perfetta della vita, la reazione di questi giorni ci rivela molti tratti di quello che è, o è diventato attualmente, il carattere nazionale. Si sprecano le reazioni piagnone, vendicative, le rivalse tra Guelfi e Ghibellini, l’arroccamento nel posto di potere. Un panorama desolante, in cui è difficile trovare una voce autorevole e non compromessa con il “sistema”. 
Il calcio italiano non solo ha perso la capacità di vincere, ma, ciò che è peggio, ha perso la mentalità vincente.
Ma poiché, grazie al cielo, siamo l’Italia e - volendo - le risorse le abbiamo, è possibile non solo recuperare la mentalità giusta, ma anche, grazie ad essa, tornare a vincere.
Non so chi potrebbe essere il nuovo Commissario Tecnico della Nazionale, o il nuovo Presidente della Federcalcio.
Sono però convinto di una cosa: l’esempio più fulgido di mentalità vincente lo abbiamo avuto e in parte lo abbiamo ancora in casa, in quel magnifico sport che si chiama pallavolo, introdotto dal mio idolo di gioventù Julio Velasco, il tecnico che ha portato (quasi) sul tetto del mondo.
Se vogliamo un’altra “Generazione di Fenomeni” anche nel calcio, cominciamo a proiettare questo video nelle scuole, nelle università, nei centri sportivi, nelle aziende. 
Sarà il primo passo nella direzione giusta.




giovedì 9 novembre 2017

Un anno dalla vittoria di Trump

E' passato un anno dalla vittoria di Trump alle elezioni.
Ricordo perfettamente quella notte, che ho passato, da solo, insonne, seguendo lo spoglio via internet, con la tv senza audio sintonizzata su SkyTG24 in attesa delle analisi dell'amico Alessandro Tapparini (unico commentatore italiano che ho mai ascoltato sull'argomento, insieme al direttore de "La Stampa" Maurizio Molinari).
Ricordo di aver seguito la grafica del New York Times, che era disegnata stile contachilometri dell'auto. All'inizio, tutte le lancette davano - ovviamente - vincente la Clinton. Poi, piano piano, inarrestabilmente, mentre si passava dal territorio dei "sondaggi" e delle previsioni degli "esperti" a quello dei voti "veri", le lancette hanno cominciato a spostarsi, dapprima lentamente, poi sempre in maniera sempre più decisa, verso Trump. Un delirio.
Ricordo di essermi crudelmente sintonizzato via web sulla CNN, per vedere, a quel punto, le facce dei giornalisti. Balbettavano. Si trova ancora il video su Youtube. Cliccatissimo. Straordinario. Cercatelo, è estremamente divertente. Impagabile.
Ricordo tutto.



Oggi, però, non voglio fare analisi politiche, ma voglio esprimere una notazione personale.
Per mesi, durante la campagna elettorale, ho passato ore e ore, nel mio tempo libero, a guardare i comizi di Trump, le interviste di Trump, i servizi dei media Usa su Trump.
La sera: Trump. La mattina: Trump. Il week end: Trump. Evviva Youtube, evviva internet, pensavo io. Lo ha sicuramente pensato un po' meno mia moglie, che per mesi ha dovuto, spesso, sorbire la presenza ingombrante di Trump a cena, a colazione, a pranzo.
Perchè se non guardavo i video, le parlavo di Trump. Cercavo di spiegarle che se anche tutti - TUTTI - dicevano che era impossibile una sua vittoria, secondo me, invece, non era così, perchè c'erano dei segnali - mille segnali -  secondo cui l'esito poteva essere diverso. Certo, era difficile, ma era una possibilità. Io cercavo di spiegarle, e lei, cortesemente, mi ascoltava.

A volte, l'argomento emergeva anche a cena con gli amici. Poche volte, però. Perchè per tutti Trump era un personaggio comico, o un pazzo pericoloso, e comunque - secondo tutti i "giornali" e tutti gli "esperti" - non poteva vincere. Appena si capiva che io la pensavo diversamente, si cambiava quasi sempre discorso, in maniera un po' imbarazzata.

Credo che mia moglie, segretamente, in tutti quei mesi, mi abbia un po' compatito. Magari pensando che un marito, in effetti, potrebbe avere difetti peggiori (ovviamente, non ritengo che il mio studio matto e disperatissimo di Trump sia l'unico mio difetto).

Poi è arrivato l'8/11/2016.

E Trump ha vinto.

sabato 4 novembre 2017

Un’altra “teoria” confermata: Hillary stava così male che il Partito Democratico ha cercato un sostituto a due mesi dalle elezioni

I MSM media (media “main stream”, “seri” insomma) durante la campagna delle presidenziali 2016 derubricavano le indiscrezioni sui problemi di salute di Hillary Clinton come “teorie della cospirazione” propagate dalla “alt right”, la “destra alternativa” razzista, suprematista, populista, nazionalista e chi più ne ha più ne metta, capeggiata dal “lupo mannaro” Bannon e sostenitrice di Trump.

Ora Donna Brazile - sempre lei, ex presidente del Partito Democratico e (ex?) fida alleata dei Clinton - racconta nel suo libro che, in sostanza, era tutto vero: i problemi di salute di Hillary erano così seri che è stata studiata un’alternativa (candidare l’ex vice presidente Joe Biden) a soli due mesi dalle elezioni.

Insomma: un’altra “teoria della cospirazione” su Hillary era tutt’altro che una teoria - almeno stando a quanto scrive un diretto testimone oculare.

Cosa sta succedendo? Perché Donna Brazile, all’epoca vicinissima ai Clinton, ha deciso di rivelare queste verità nel suo libro? Perché le indiscrezioni sul libro giungono da fonti di stampa vicine ai Clinton?

Di solito i topi abbandonano la nave quando sentono che sta per affondare...

***

Un saluto dall’Heartland Brewery, ristorante alla base dell’Empire State Building



giovedì 2 novembre 2017

Come Hillary ha “vinto” le primarie democratiche, e perso le elezioni

Vi invito a leggere questo “esplosivo” articolo di Donna Brazile, ex presidente del partito democratico.

Metto le virgolette perché si tratta di cose già note a chi non legge solo il New York Times o Repubblica.

In estrema sintesi, ecco cosa racconta Donna abrasive. Sant’Obama ha lasciato il partito democratico in bancarotta (bravo!). I Clinton hanno escogitato la soluzione: tramite i fondi della campagna di Hillary, hanno prestato al partito democratico le risorse necessarie per la sua sopravvivenza. Sotto forma di “paghetta” mensile. In barba alle regole del partito. 

In questo modo Hillary ha ottenuto il controllo del partito democratico (e dei suoi attivisti e del suo database). Piccolo particolare: questo è avvenuto PRIMA delle primarie, in cui la Clinton ha “vinto” contro Sanders la corsa per la nomination. Qui metto le virgolette perché è evidente che il gioco era truccato. Poiché era Hillary che teneva in piedi la baracca, era scontato  che, in un modo o nell’altro, ottenesse la nomination. E così è stato.

Salvo poi perdere clamorosamente le elezioni.

E come mai?

Anche qui Donna Brazile è molto chiara. Emblematico questo passaggio di una conversazione che ha la Brazile ha avuto con Sanders, quando gli ha dovuto spiegare come i Clinton lo avevano fregato. Sanders le aveva chiesto se, come dicevano tutti i sondaggi, la vittoria della Clinton era certa. Ebbene, ecco cosa gli ha risposto Donna Brazile (ripeto: l’ex presidente del Partito Democratico, non una quisque de popolo): “I had to be frank with him. I did not trust the polls, I said. I told him I had visited states around the country and I found a lack of enthusiasm for her everywhere. I was concerned about the Obama coalition and about millennials”.

Capito? Ai piani più alti del partito democratico si sapeva che i sondaggi erano farlocchi. E che la Clinton, ancora una volta, in campagna elettorale, invece di correre come un cavallo di razza si stava rivelando un ronzino. Si sapeva che l’aver messo le mani - dal punto di vista finanziario - sul partito, non l’aveva resa un candidato vincente.

Questo è il motivo per cui Hillary ha perso. Perché è in grado di vincere solo se le spianano la strada. Perché è sempre stata un candidato debole. Altro che hacker russi.

Un saluto dal ponte di Brooklyn. Non molto distante da qui, la campagna elettorale di Hillary aveva il suo quartier generale. 








Letture - L'errore di calcolo di Bin Laden

L'articolo " Bin Laden’s Catastrophic Success " di Nelly Lahoud, pubblicato su Foreign Affairs nel settembre/ottobre 2021 , c...