venerdì 24 ottobre 2014

Stragi naziste: Corte costituzionale (238/2014), no ad immunità degli Stati stranieri in caso di crimini di guerra e contro l'umanità

I fatti di causa
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Firenze, con tre ordinanze identiche relative a cause promosse da cittadini italiani ed eredi di cittadini italiani deportati nei lager nazisti.
La Repubblica federale di Germania, costituitasi nei giudizi, ha eccepito il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana e ha chiesto al giudice di dare attuazione alla sentenza del 3 febbraio 2012 della CIG, secondo la quale «il diritto consuetudinario internazionale continu[a] a prevedere che ad uno Stato sia riconosciuta l’immunità in procedimenti per illeciti presumibilmente commessi sul territorio di un altro Stato dalle proprie forze armate ed altri organismi statali nel corso di un conflitto armato». Pertanto, il giudice rimettente sollevava la predetta questione di legittimità costituzionale delle norme che gli imponevano di declinare la giurisdizione.
Nel frattempo, è sopraggiunta la legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004 nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno) che all’art. 3 contiene l’espressa esclusione della giurisdizione italiana per i crimini di guerra commessi dal Terzo Reich anche per i procedimenti in corso.
La Corte costituzionale ha innanzitutto respinto le eccezioni di inammissibilità dell'Avvocatura dello Stato; viene ribadita la competenza della Consulta a verificare la legittimità costituzionale delle consuetudini internazionali anche ove anteriori alla Costituzionale, in applicazione di un principio consolidato fin dalla primissima sentenza n. 1/1956.

"E qui oggi si riconosce, pertanto, che il principio affermato nella appena ricordata sentenza n. 1 del 1956, secondo il quale il controllo di legittimità costituzionale riguarda sia norme posteriori che norme anteriori alla Costituzione repubblicana, vale anche per le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute di cui al meccanismo di adattamento automatico dell’art. 10, primo comma, Cost. che si siano formate prima o dopo la Costituzione.
Neppure si può escludere dallo scrutinio di legittimità costituzionale la norma oggetto del rinvio operato all’art. 10, primo comma, Cost. ad una norma consuetudinaria internazionale solo perché l’art. 134 Cost. non contempla espressamente questa specifica ipotesi. Tale disposizione assoggetta al controllo accentrato di costituzionalità tutte le leggi, gli atti e le norme le quali, pur provviste della stessa efficacia delle leggi formali, ordinarie e costituzionali, siano venute ad esistenza per vie diverse dal procedimento legislativo, anche quelle da ultimo richiamate. Sono esclusi dallo scrutinio riservato a questa Corte soltanto gli atti che hanno un rango ed una forza inferiori rispetto alla legge. In definitiva, non sussistono, sul piano logico e sistematico, ragioni per le quali il controllo di legittimità costituzionale dovrebbe essere escluso per le consuetudini internazionali o limitato solo a quelle posteriori alla Costituzione, tenuto conto che a queste ultime è riconosciuta la medesima efficacia delle consuetudini formatesi in epoca precedente ed il medesimo limite del rispetto degli elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale, vale a dire dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona".

La Corte costituzionale ha poi riaffermato la sussistenza di c.d. "controlimiti" - principi supremi e inviolabili dell'ordinamento costituzionale - che prevalgono non solo nei confronti del diritto dell'Unione europea e dei Patti Lateranensi, ma anche nei confronti delle norme internazionali generalmente riconosciute:

"3.2.– Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988).
In un sistema accentrato di controllo di costituzionalità, è pacifico che questa verifica di compatibilità spetta alla sola Corte costituzionale, con esclusione di qualsiasi altro giudice, anche in riferimento alle norme consuetudinarie internazionali. Vero è, infatti, che la competenza di questa Corte è determinata dal contrasto di una norma con una norma costituzionale e, ovviamente, con un principio fondamentale dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero con un principio posto a tutela di un diritto inviolabile della persona, contrasto la cui valutazione non può competere ad altro giudice che al giudice costituzionale. Ogni soluzione diversa si scontra – nel sistema accentrato di controllo – con la competenza riservata dalla Costituzione a questa Corte, restando scolpito nella sua giurisprudenza, fin dal primo passo, che «La dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge non può essere fatta che dalla Corte costituzionale in conformità dell’art. 136 della stessa Costituzione» (sentenza n. 1 del 1956). Anche di recente, poi, questa Corte ha ribadito che la verifica di compatibilità con i principi fondamentali dell’assetto costituzionale e di tutela dei diritti umani è di sua esclusiva competenza (sentenza n. 284 del 2007); ed ancora, precisamente con riguardo al diritto di accesso alla giustizia (art. 24 Cost.), che il rispetto dei diritti fondamentali, così come l’attuazione di principi inderogabili, è assicurato dalla funzione di garanzia assegnata alla Corte costituzionale (sentenza n. 120 del 2014)".

Per quanto riguarda il merito: 1. premessa - la norma internazionale consuetudinaria sull'immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, secondo la giurisprudenza italiana pre-repubblicana (e belga; c.d. tesi italo-belga) si è progressivamente evoluta nel senso di escludere la concessione del beneficio dell’immunità almeno quando lo Stato agisce come privato, ipotesi che appariva una iniqua limitazione dei diritti dei contraenti privati.

"3.3.– La norma internazionale consuetudinaria sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati, in origine assoluta in quanto comprensiva di tutti i comportamenti degli Stati, in tempi meno remoti, ossia nella prima parte del secolo scorso, è stata oggetto di un’evoluzione progressiva dovuta alla giurisprudenza nazionale della maggior parte degli Stati, fino alla individuazione di un limite negli acta iure gestionis, formula di immediata comprensione. Ed è notorio che è stato merito principalmente della giurisprudenza italiana (ex multis, Tribunale di Firenze, 8 giugno 1906, Riv. Dir. Int. 1907, 379; Cass. 13 marzo 1926, idem 1926, 250; Corte d’appello di Napoli, 16 luglio 1926, idem 1927,104; Corte d’appello di Milano, 23 gennaio 1932, idem 1932, 549; Cassazione 18 gennaio 1933, idem 1933, 241) e di quella belga (ex multis, Cass. 11 giugno 1903, Journ dr. Int. Privé 1904, 136; App. Bruxelles 24 giugno 1920, Pasicrisie belge 1922, II, 122; App. Bruxelles, 24 maggio 1933, Journ. dr. Int. 1933, 1034) la progressiva affermazione del limite appena ricordato all’applicazione della norma sull’immunità (c.d. tesi italo-belga). In definitiva, si è ridotta, ad opera delle giurisdizioni nazionali, la portata della norma del diritto consuetudinario internazionale, nel senso che essa attribuisce l’immunità dalla giurisdizione civile degli altri Stati solo per gli atti ritenuti iure imperii. E ciò principalmente allo scopo di escludere la concessione del beneficio dell’immunità almeno quando lo Stato agisce come privato, ipotesi che appariva una iniqua limitazione dei diritti dei contraenti privati.
Questo processo di progressiva definizione del contenuto della norma internazionale si è ormai da tempo affermato nella Comunità internazionale (sentenza n. 329 del 1992): e va valutata al giusto la circostanza certo significativa che l’evoluzione nel senso precisato sia stata provocata dalla giurisprudenza dei giudici nazionali, ai quali è naturale spetti la valutazione del rispettivo titolo di competenza, lasciando agli organi internazionali la ricognizione della prassi ai fini della rilevazione delle norme consuetudinarie e della loro evoluzione.
Se un simile effetto di ridimensionamento dell’immunità in una prospettiva di tutela dei diritti si è delineato, anche per quanto attiene all’ordinamento italiano, ad opera del controllo dei giudici comuni, in un contesto istituzionale contraddistinto da una Costituzione flessibile, nella quale il riconoscimento dei diritti non era assistito che da ridotte garanzie, è ineludibile affermare che nell’ordinamento costituzionale repubblicano, fondato sulla tutela dei diritti e sulla connessa limitazione del potere ad essa funzionale e garantito da una Costituzione rigida, lo stesso controllo compete a questa Corte. Ad essa spetta in via esclusiva il compito di assicurare il rispetto della Costituzione ed a maggior ragione dei suoi principi fondamentali e quindi la necessaria valutazione della compatibilità della norma internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati con i predetti principi, con l’effetto di produrre un ulteriore ridimensionamento della portata della predetta norma, limitato al diritto interno ma tale da concorrere, altresì, ad un’auspicabile e da più parti auspicata evoluzione dello stesso diritto internazionale".

Per quanto riguarda il merito: 2. La norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta, per la parte confliggente con i principi ed i diritti inviolabili, non è mai entrata nell'ordinamento italiano e non può essere quindi applicata. In questo senso, quindi, la questione di legittimità costituzionale non è fondata, perchè la norma di cui si è contestata la legittimità, in realtà, non esiste.

"3.4.– Una simile verifica si rivela, peraltro, indispensabile alla luce dell’art. 10, primo comma, Cost., il quale impone a questa Corte di accertare se la norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri, come interpretata nell’ordinamento internazionale, possa entrare nell’ordinamento costituzionale, in quanto non contrastante con principi fondamentali e diritti inviolabili. Il verificarsi di tale ultima ipotesi, infatti, «esclude l’operatività del rinvio alla norma internazionale» (sentenza n. 311 del 2009), con la conseguenza inevitabile che la norma internazionale, per la parte confliggente con i principi ed i diritti inviolabili, non entra nell’ordinamento italiano e non può essere quindi applicata.
E ciò è proprio quanto è accaduto nella specie.
Ripetutamente questa Corte ha osservato che fra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale vi è il diritto di agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti riconosciuto dall’art. 24 Cost., in breve il diritto al giudice. A maggior ragione, poi, ciò vale quando il diritto in questione è fatto valere a tutela dei diritti fondamentali della persona.
Nella specie, il giudice rimettente ha non casualmente indicato congiuntamente gli artt. 2 e 24 Cost., inestricabilmente connessi nella valutazione di legittimità costituzionale chiesta a questa Corte. Il primo è la norma sostanziale posta, tra i principi fondamentali della Carta costituzionale, a presidio dell’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona, tra i quali, nella specie conferente a titolo primario, la dignità. Il secondo è anch’esso a presidio della dignità della persona, tutelando il suo diritto ad accedere alla giustizia per far valere il proprio diritto inviolabile.
La diversità di piano, sostanziale e processuale, non consente di scinderne la comune rilevanza rispetto alla compatibilità costituzionale della regola dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati. Sarebbe invero arduo individuare quanto resterebbe di un diritto se non potesse essere fatto valere dinanzi ad un giudice per avere effettiva tutela.
Fin dalla sentenza n. 98 del 1965 in materia comunitaria, questa Corte affermò che il diritto alla tutela giurisdizionale «è tra quelli inviolabili dell’uomo, che la Costituzione garantisce all’art. 2, come si arguisce anche dalla considerazione che se ne è fatta nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo» (punto 2. del Considerato in diritto). In una meno remota occasione, questa Corte non ha esitato ad ascrivere il diritto alla tutela giurisdizionale «tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio» (sentenze n. 18 del 1982, nonché n. 82 del 1996). D’altra parte, in una prospettiva di effettività della tutela dei diritti inviolabili, questa Corte ha anche osservato che «al riconoscimento della titolarità di diritti non può non accompagnarsi il riconoscimento del potere di farli valere innanzi ad un giudice in un procedimento di natura giurisdizionale»: pertanto, «l’azione in giudizio per la difesa dei propri diritti (…) è essa stessa il contenuto di un diritto, protetto dagli articoli 24 e 113 della Costituzione e da annoverarsi tra quelli inviolabili e caratterizzanti lo stato democratico di diritto» (sentenza n. 26 del 1999, nonché n. 120 del 2014, n. 386 del 2004 e n. 29 del 2003). Né è contestabile che il diritto al giudice ed a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili è sicuramente tra i grandi principi di civiltà giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo.
Tuttavia, proprio con riguardo ad ipotesi di immunità dalla giurisdizione degli Stati introdotte dalla normativa internazionale, questa Corte ha riconosciuto che nei rapporti con gli Stati stranieri il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale possa subire un limite ulteriore rispetto a quelli imposti dall’art. 10 Cost. Ma il limite deve essere giustificato da un interesse pubblico riconoscibile come potenzialmente preminente su un principio, quale quello dell’art. 24 Cost., annoverato tra i “principi supremi” dell’ordinamento costituzionale (sentenza n. 18 del 1982); inoltre la norma che stabilisce il limite deve garantire una rigorosa valutazione di tale interesse alla stregua delle esigenze del caso concreto (sentenza n. 329 del 1992).
Nella specie, la norma consuetudinaria internazionale sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri, con la portata definita dalla CIG, nella parte in cui esclude la giurisdizione del giudice a conoscere delle richieste di risarcimento dei danni delle vittime di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona, determina il sacrificio totale del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti delle suddette vittime: il che è peraltro riconosciuto dalla stessa CIG, che rinvia la soluzione della questione, sul piano internazionale, ad eventuali nuovi negoziati, individuando nella sede diplomatica l’unica sede utile (punto 104 della sentenza del 3 febbraio 2012). Né si ravvisa, nell’ambito dell’ordinamento costituzionale, un interesse pubblico tale da risultare preminente al punto da giustificare il sacrificio del diritto alla tutela giurisdizionale di diritti fondamentali (artt. 2 e 24 Cost.), lesi da condotte riconosciute quali crimini gravi.
L’immunità dalla giurisdizione degli altri Stati, se ha un senso, logico prima ancora che giuridico, comunque tale da giustificare, sul piano costituzionale, il sacrificio del principio della tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili garantito dalla Costituzione, deve collegarsi – nella sostanza e non solo nella forma – con la funzione sovrana dello Stato straniero, con l’esercizio tipico della sua potestà di governo.
Anche in una prospettiva di realizzazione dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati ai principi di pace e giustizia, in vista dei quali l’Italia consente a limitazioni di sovranità (art. 11 Cost.), il limite che segna l’apertura dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazionale e sovranazionale (artt. 10 ed 11 Cost.) è costituito, come questa Corte ha ripetutamente affermato (con riguardo all’art. 11 Cost.: sentenze n. 284 del 2007, n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973; con riguardo all’art. 10, primo comma, Cost.: sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 48 del 1979; anche sentenza n. 349 del 2007), dal rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo, elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale. E ciò è sufficiente ad escludere che atti quali la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi, riconosciuti come crimini contro l’umanità, possano giustificare il sacrificio totale della tutela dei diritti inviolabili delle persone vittime di quei crimini, nell’ambito dell’ordinamento interno.
L’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione del giudice italiano consentita dagli artt. 2 e 24 Cost. protegge la funzione, non anche comportamenti che non attengono all’esercizio tipico della potestà di governo, ma sono espressamente ritenuti e qualificati illegittimi, in quanto lesivi di diritti inviolabili, come riconosciuto, nel caso in esame, dalla stessa CIG e, dinanzi ad essa, dalla RFG (supra, punto 3.1.), ma ciò nonostante sprovvisti di rimedi giurisdizionali, come pure è attestato nella sentenza della CIG, nella parte ove dichiara di non ignorare «che l’immunità dalla giurisdizione riconosciuta alla Germania conformemente al diritto internazionale può impedire ai cittadini italiani interessati una riparazione giudiziaria» (punto 104), auspicando conseguentemente la riapertura di negoziati.
Pertanto, in un contesto istituzionale contraddistinto dalla centralità dei diritti dell’uomo, esaltati dall’apertura dell’ordinamento costituzionale alle fonti esterne (sentenza n. 349 del 2007), la circostanza che per la tutela dei diritti fondamentali delle vittime dei crimini di cui si tratta, ormai risalenti, sia preclusa la verifica giurisdizionale rende del tutto sproporzionato il sacrificio di due principi supremi consegnati nella Costituzione rispetto all’obiettivo di non incidere sull’esercizio della potestà di governo dello Stato, allorquando quest’ultima si sia espressa, come nella specie, con comportamenti qualificabili e qualificati come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, in quanto tali estranei all’esercizio legittimo della potestà di governo.
Vale, infine, precisare che il diritto al giudice sancito dalla Costituzione italiana, come in tutti gli ordinamenti democratici, richiede una tutela effettiva dei diritti dei singoli (sull’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti ex art. 24 Cost., tra le tante, di recente, sentenze n. 182 del 2014 e n. 119 del 2013; anche sentenze n. 281 del 2010 e n. 77 del 2007).
Questa Corte, che pure aveva, come sopra ricordato, riconosciuto che il sistema di controllo giurisdizionale previsto per l’ordinamento comunitario appariva rispondere ai caratteri di un sistema di tutela giurisdizionale equivalente a quello richiesto dall’art. 24 Cost. (sentenza n. 98 del 1965), ha espresso una valutazione diversa di fronte alla prassi della stessa Corte di giustizia UE di differire gli effetti favorevoli di una sentenza su rinvio pregiudiziale anche per le parti che avevano fatto valere i diritti poi riconosciuti, così vanificando la funzione del rinvio pregiudiziale, riducendo vistosamente l’effettività della tutela giurisdizionale richiesta e pertanto non rispondendo in parte qua a quanto richiesto dal diritto al giudice sancito dalla Costituzione italiana (sentenza n. 232 del 1989, che indusse la Corte di giustizia UE a mutare la sua giurisprudenza in proposito).
Significativo è del pari che la Corte di giustizia UE, in riferimento all’impugnazione di un regolamento del Consiglio che disponeva il congelamento dei beni delle persone inserite in un elenco di presunti terroristi predisposto da un organo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (comitato delle sanzioni), ha anzitutto respinto la tesi del Tribunale di primo grado che aveva sostanzialmente stabilito il difetto di giurisdizione del giudice comunitario, affermandone il dovere di garantire il controllo di legittimità di tutti gli atti dell’Unione, anche di quelli che attuano risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La Corte ha poi affermato che gli obblighi derivanti da un accordo internazionale non possono violare il principio del rispetto dei diritti fondamentali che deve caratterizzare tutti gli atti dell’Unione. L’esito è stato l’annullamento del regolamento comunitario, per quanto di ragione, per la violazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva e la mancanza, nel sistema delle Nazioni Unite, di un adeguato meccanismo di controllo del rispetto dei diritti fondamentali (Corte di giustizia UE, sentenza 3 settembre 2008, cause C-402 P e 415/05 P, punti 316 e seguenti, 320 e seguenti).
3.5. – Nella specie, l’insussistenza della possibilità di una tutela effettiva dei diritti fondamentali mediante un giudice, rilevata, come detto, dalla CIG e confermata, dinanzi alla predetta, dalla RFG, rende manifesto il denunciato contrasto della norma internazionale, come definita dalla predetta CIG, con gli artt. 2 e 24 Cost.
Tale contrasto, laddove la norma internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati comprende anche atti ritenuti iure imperii in violazione del diritto internazionale e dei diritti fondamentali della persona, impone a questa Corte di dichiarare che rispetto a quella norma, limitatamente alla parte in cui estende l’immunità alle azioni di danni provocati da atti corrispondenti a violazioni così gravi, non opera il rinvio di cui al primo comma dell’art. 10 Cost. Ne consegue che la parte della norma sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati che confligge con i predetti principi fondamentali non è entrata nell’ordinamento italiano e non vi spiega, quindi, alcun effetto.
La questione prospettata dal giudice rimettente con riguardo alla norma «prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost.», della norma consuetudinaria di diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati è, dunque, non fondata, considerato che la norma internazionale alla quale il nostro ordinamento si è conformato in virtù dell’art. 10, primo comma, Cost. non comprende l’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile in relazione ad azioni di danni derivanti da crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona, i quali risultano per ciò stesso non privi della necessaria tutela giurisdizionale effettiva".

Sono invece incostituzionali:

"l’art. 1 della legge 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945), limitatamente all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia (CIG) del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona".

l’art. 3 della legge n. 5 del 2013

"L’obbligo del giudice italiano, stabilito dal censurato art. 3, di adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione nella causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi iure imperii da uno Stato straniero nel territorio italiano, senza che sia prevista alcuna altra forma di riparazione giudiziaria dei diritti fondamentali violati, si pone, pertanto, come si è già ampiamente dimostrato in relazione alle precedenti questioni (supra, punti 3. e 4.), in contrasto con il principio fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali assicurata dalla Costituzione italiana agli artt. 2 e 24 Cost. Come si è già osservato, il totale sacrificio che si richiede ad uno dei principi supremi dell’ordinamento italiano, quale senza dubbio è il diritto al giudice a tutela di diritti inviolabili, sancito dalla combinazione degli artt. 2 e 24 della Costituzione repubblicana, riconoscendo l’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione italiana, non può giustificarsi ed essere tollerato quando ciò che si protegge è l’esercizio illegittimo della potestà di governo dello Stato straniero, quale è in particolare quello espresso attraverso atti ritenuti crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona".

Sentenza redatta dal Presidente della Corte costituzionale, Giuseppe Tesauro, maestro del diritto internazionale, già Avvocato Generale dinanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, il cui mandato alla Corte scade il 9 novembre 2014 (fu nominato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 4 novembre 2005).

Interessante notare che mentre il Governo spinge per la "degiurisdizionalizzazione", la Corte costituzionale non esita a ribadire che il diritto alla tutela giurisdizionale rientra «tra i principi supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio» (sentenze n. 18 del 1982, nonché n. 82 del 1996).

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