Oggi, 8 marzo, si festeggia la giornata
internazionale della donna (comunemente definita, anche se in maniera impropria, “festa della donna”).
Stamattina su Radio24 sentivo che a
“nove in punto” si parlava di quote rosa. Una combattiva ricercatrice dell’Istituto
Bruno Leoni le criticava, sostenendo che non si tratta di uno strumento valido
per garantire l’avanzamento della condizione femminile ed un’effettiva
meritocrazia, perché – all’occorrenza – i potenti di turno hanno tutti, solitamente,
una moglie, una figlia, un’amante da piazzare in questo o quell’incarico per
riempire – appunto – una quota rosa.
Pensando a queste cose, mi è venuta
in mente la storia di Kathrine Switzer. Si tratta di una di quelle storie di
sport a mio parere speciali, per la loro carica simbolica.
Ora, Kathrine Switzer è la prima
donna ad aver corso ufficialmente una maratona (non olimpica).
Facciamo un po’ di storia. E’ noto
che nell’antica Grecia, le donne non potevano assolutamente partecipare alle
competizioni atletiche; anzi erano tenute proprio alla larga, non potevano
nemmeno assistere come spettatrici. Per quanto riguarda le Olimpiadi moderne
(la prima edizione è del 1896), le donne sono state ammesse solo nel 1928. Fino
al 1968, però, per quanto riguarda le gare di corsa, la distanza massima prevista
per le donne erano gli 800m; solo nel 1972 sono stati introdotti i 1500m. Il
motivo? Organizzatori e medici erano convinti che il fisico femminile non fosse
in grado di sostenere distanze più lunghe.
Però si sa che le donne sono
testarde, e quindi in molte provarono fin da subito a correre la maratona anche
senza permesso “ufficiale”. Si dice che la greca Stamatis Rovithi abbia corso
la distanza da Maratona ad Atene nel 1896, un mese prima della maratona
olimpica, ma non si sa il tempo. Un mese dopo la greca Melpomene tentò di
partecipare alla prima maratona olimpica vera e propria, ma fu allontanata dalla
gara, che però corse fino in fondo costeggiando, al di fuori, il percorso
ufficiale. Ci mise un’ora e mezzo in più del vincitore Spiridon Louis, ma fu
comunque una grande dimostrazione di volontà.
Per quanto riguarda le maratone non
olimpiche, si hanno i tempi ufficiosi di due donne che le completarono, anche
se non erano state ufficialmente iscritte – diciamo, così, “nell’anonimato”: Violet Piercy (3h40'22", 1926), di Roberta Gibb (3h21'25",
1966, Boston). La partecipazione "non ufficiale" della Gibb nel 1966, in particolare, ebbe notevole risonanza.
E qui arriviamo a Kathrine Switzer,
studentessa di giornalismo, la prima donna ad essere ammessa ufficialmente, con
tanto di pettorale, ad una maratona non olimpica, sempre a Boston. Era il 1967.
In realtà, dire che era stata ammessa “ufficialmente” è un po’ una forzatura. Si
era registrata come K.V. Switzer, e gli organizzatori non si erano accorti che
si trattava di una donna. Lei però sostiene che non aveva voluto ingannarli, perché
da tempo firmava così i propri articoli sul giornale del college (chissà se gli
organizzatori della maratona di Boston li avevano mai letti). Insomma, fatto
sta che la Switzer si presentò alla linea di partenza col suo bel pettorale, e
allo sparo del via cominciò a correre in tutta tranquillità. Finchè la sua
strada si incrociò con Jock Semple, runner, fisioterapista, allenatore e –
soprattutto – giudice di gara della maratona di Boston.
Semple era uno che ci teneva
alla “serietà” della maratona. Infatti si era contraddistinto per i modi rudi –
ai limiti della denuncia – con cui aveva più volte allontanato dalla corsa
coloro che – a volte studenti del MIT o di Harvard vestiti con costumi
stravaganti – si “imbucavano” nella gara come bravata goliardica.
Ebbene, quando il rigoroso Jock
Semple si rese conto che una donna, la Switzer appunto, stava correndo la
maratona, le corse dietro urlandole: “Via dalla mia gara e dammi quel pettorale!”.
Ma il fidanzato della Switzer, che la accompagnava, respinse Semple in malo
modo, e altri corridori le fecero letteralmente “scudo “ e la scortarono per l’intera
maratona fino al traguardo.
Il fatto ebbe grande risonanza, e ne seguirono non poche polemiche. Ci volle ancora un po’ perché la
maratona fosse ritenuto uno sport “per signorine” (e signore). Nel 1972 le
donne furono infine ammesse alla maratona di Boston. La prima maratona femminile
internazionale si tenne in Germania, a Weldniel. La prima maratona olimpica,
poi, addirittura nel 1984 a Los Angeles (vinse l’americana Joan Benoit).
Però è chiaro che una “spallata”
nel muro del pregiudizio l’aveva data proprio Kathrine Switzer (assieme a Roberta Gibb e alle altre donne che avevano sfidato quel muro).
E si tratta davvero di
una storia di quelle edificanti, con tanto di lieto fine. Infatti, l’arcigno
giudice di gara Semple si riconciliò pubblicamente con la Switzer, e divenne un
sostenitore della partecipazione femminile alla maratona. Insomma, la Switzer aveva
vinto su tutta la linea.
Auguri a tutte le donne!
(P.S. grazie a Michele Fiorini
che mi ha spinto a scrivere questo post!)
Le foto sono tratte da qui: http://globedia.com/kathrine-switzer-heroina-atletas
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