venerdì 8 marzo 2013

Una storia per l’8 marzo: Kathrine Switzer, la prima maratoneta “ufficiale”


Oggi, 8 marzo, si festeggia la giornata internazionale della donna (comunemente definita, anche se in maniera impropria, festa della donna”).
Stamattina su Radio24 sentivo che a “nove in punto” si parlava di quote rosa. Una combattiva ricercatrice dell’Istituto Bruno Leoni le criticava, sostenendo che non si tratta di uno strumento valido per garantire l’avanzamento della condizione femminile ed un’effettiva meritocrazia, perché – all’occorrenza – i potenti di turno hanno tutti, solitamente, una moglie, una figlia, un’amante da piazzare in questo o quell’incarico per riempire – appunto – una quota rosa.
Pensando a queste cose, mi è venuta in mente la storia di Kathrine Switzer. Si tratta di una di quelle storie di sport a mio parere speciali, per la loro carica simbolica.
Ora, Kathrine Switzer è la prima donna ad aver corso ufficialmente una maratona (non olimpica).
Facciamo un po’ di storia. E’ noto che nell’antica Grecia, le donne non potevano assolutamente partecipare alle competizioni atletiche; anzi erano tenute proprio alla larga, non potevano nemmeno assistere come spettatrici. Per quanto riguarda le Olimpiadi moderne (la prima edizione è del 1896), le donne sono state ammesse solo nel 1928. Fino al 1968, però, per quanto riguarda le gare di corsa, la distanza massima prevista per le donne erano gli 800m; solo nel 1972 sono stati introdotti i 1500m. Il motivo? Organizzatori e medici erano convinti che il fisico femminile non fosse in grado di sostenere distanze più lunghe.
Però si sa che le donne sono testarde, e quindi in molte provarono fin da subito a correre la maratona anche senza permesso “ufficiale”. Si dice che la greca Stamatis Rovithi abbia corso la distanza da Maratona ad Atene nel 1896, un mese prima della maratona olimpica, ma non si sa il tempo. Un mese dopo la greca Melpomene tentò di partecipare alla prima maratona olimpica vera e propria, ma fu allontanata dalla gara, che però corse fino in fondo costeggiando, al di fuori, il percorso ufficiale. Ci mise un’ora e mezzo in più del vincitore Spiridon Louis, ma fu comunque una grande dimostrazione di volontà.
Per quanto riguarda le maratone non olimpiche, si hanno i tempi ufficiosi di due donne che le completarono, anche se non erano state ufficialmente iscritte – diciamo, così, “nell’anonimato”: Violet Piercy (3h40'22", 1926), di Roberta Gibb (3h21'25", 1966, Boston). La partecipazione "non ufficiale" della Gibb nel 1966, in particolare, ebbe notevole risonanza.
E qui arriviamo a Kathrine Switzer, studentessa di giornalismo, la prima donna ad essere ammessa ufficialmente, con tanto di pettorale, ad una maratona non olimpica, sempre a Boston. Era il 1967. In realtà, dire che era stata ammessa “ufficialmente” è un po’ una forzatura. Si era registrata come K.V. Switzer, e gli organizzatori non si erano accorti che si trattava di una donna. Lei però sostiene che non aveva voluto ingannarli, perché da tempo firmava così i propri articoli sul giornale del college (chissà se gli organizzatori della maratona di Boston li avevano mai letti). Insomma, fatto sta che la Switzer si presentò alla linea di partenza col suo bel pettorale, e allo sparo del via cominciò a correre in tutta tranquillità. Finchè la sua strada si incrociò con Jock Semple, runner, fisioterapista, allenatore e – soprattutto – giudice di gara della maratona di Boston.
Semple era uno che ci teneva alla “serietà” della maratona. Infatti si era contraddistinto per i modi rudi – ai limiti della denuncia – con cui aveva più volte allontanato dalla corsa coloro che – a volte studenti del MIT o di Harvard vestiti con costumi stravaganti – si “imbucavano” nella gara come bravata goliardica.
Ebbene, quando il rigoroso Jock Semple si rese conto che una donna, la Switzer appunto, stava correndo la maratona, le corse dietro urlandole: “Via dalla mia gara e dammi quel pettorale!”. Ma il fidanzato della Switzer, che la accompagnava, respinse Semple in malo modo, e altri corridori le fecero letteralmente “scudo “ e la scortarono per l’intera maratona fino al traguardo.



Il fatto ebbe grande risonanza, e ne seguirono non poche polemiche. Ci volle ancora un po’ perché la maratona fosse ritenuto uno sport “per signorine” (e signore). Nel 1972 le donne furono infine ammesse alla maratona di Boston. La prima maratona femminile internazionale si tenne in Germania, a Weldniel. La prima maratona olimpica, poi, addirittura nel 1984 a Los Angeles (vinse l’americana Joan Benoit).
Però è chiaro che una “spallata” nel muro del pregiudizio l’aveva data proprio Kathrine Switzer (assieme a Roberta Gibb e alle altre donne che avevano sfidato quel muro).
E si tratta davvero di una storia di quelle edificanti, con tanto di lieto fine. Infatti, l’arcigno giudice di gara Semple si riconciliò pubblicamente con la Switzer, e divenne un sostenitore della partecipazione femminile alla maratona. Insomma, la Switzer aveva vinto su tutta la linea.



Auguri a tutte le donne!


(P.S. grazie a Michele Fiorini che mi ha spinto a scrivere questo post!)
Le foto sono tratte da qui: http://globedia.com/kathrine-switzer-heroina-atletas

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