(Questo manoscritto
si ritiene appartenga ad un militante di Futuro e Libertà, il cui bagaglio è
stato rinvenuto da alcuni nomadi nel bel mezzo del deserto del Gobi. Del
militante, purtroppo, ancora nessuna traccia).
Scrivo mentre le cronache sono invase dalla “marcia” dei
deputati del PDL sul Tribunale di Milano, per esprimere “solidarietà” a Silvio
Berlusconi. D’altro canto, molti di loro hanno votato in Parlamento che Ruby è la
nipote di Mubarak, per cui va riconosciuta una certa coerenza nella loro
condotta.
[N.d.R. Non
chiedetemi come io sia informato, nel deserto del Gobi, delle vicende del
Tribunale di Milano. Accontentatevi altrimenti viene meno l’artificio
letterario. Comunque vi basti sapere che sono ancora vivo e sostanzialmente in
buona salute, anche se momentaneamente scomparso].
Riprendiamo. Non mi pare fuori tema richiamare questa
vicenda del “processo Ruby” (davvero triste, a mio modo di vedere), come premessa
di una breve riflessione sul risultato elettorale di Futuro e Libertà, partito
in cui ho militato fin dalla sua fondazione, e per il quale mi sono anche
candidato nella circoscrizione Veneto1 alla Camera dei Deputati – in una
posizione volutamente secondaria, per puro “spirito di servizio”.
A cosa serve richiamare la crepuscolare manifestazione
dei deputati PDL a sostegno di Silvio Berlusconi (ben altra cosa il finale che
si era immaginato Nanni Moretti nel “Caimano”!!) per riflettere su Futuro e
Libertà? A mio parere molto. Serve a ricordare, infatti, una delle ragioni
fondamentali per cui Futuro e Libertà nacque, ovvero l’impossibilità politica,
per molti, di proseguire un percorso comune con un personaggio come Silvio
Berlusconi. La richiesta di giudizio immediato per la presunta “compravendita”
del senatore De Gregorio – altra notizia di oggi [N.d.R. qui nel deserto del
Gobi le notizie arrivano subito] - non ci sorprende. Semmai i contorni di
questa vicenda sono venuti a galla troppo tardi.
Insomma, è essenziale tenere presente il contesto di
partenza – Berlusconi e il berlusconismo - nei confronti del quale Futuro e
Libertà ha inteso reagire. E’ alla luce di questo contesto che vanno valutati
torti, ragioni, e anche responsabilità del catastrofico risultato elettorale di
FLI.
Il Presidente Gianfranco Fini si è assunto tutta la responsabilità
di tale risultato. Ed è scontato dire che le responsabilità sono maggiori al
vertice, e degradano e diminuiscono via via, mentre si scende verso il basso,
verso la “base”. Ma si tratterebbe di un’analisi superficiale e incompleta, perché
la questione è ben più complessa.
Voglio affrontare subito l’argomento più scomodo, ovvero
la vicenda della “casa di Montecarlo”. Confesso che su tale questione Fini mi
ha profondamente deluso. E non tanto per il merito della vicenda, che io
ritengo politicamente irrilevante, così come lo è sul piano giuridico (come
hanno certificato i magistrati). Sono rimasto grandemente deluso da come Fini,
politico di grande esperienza, ha gestito la vicenda dal punto di vista delle
comunicazione. Fini non avrebbe dovuto mettere la mano sul fuoco per le persone
a lui più vicine, che purtroppo, forse, hanno tradito la sua fiducia; per il
semplice motivo che, assieme a lui, per quella vicenda tutti i militanti di
Futuro e Libertà sono rimasti con la mano ustionata.
Tuttavia, questo grave errore di comunicazione di Fini è,
a mio parere, assolutamente compensato dai numerosi atti di dignità,
responsabilità e coraggio compiuti dal Presidente, che mi hanno personalmente
convinto a seguirlo fino in fondo in questa “traversata nel deserto” [N.d.R.: ecco perché il deserto del Gobi],
conclusasi, purtroppo, con la morte per sete [N.d.R.: non parlo di me, io sono in gran forma]. Ne elenco tre.
Innanzitutto, l’atto di dignità con cui Fini si è proposto
come leader di tutti coloro che non tolleravano più la leadership di
Berlusconi, per i motivi che ho accennato in premessa, ma anche e soprattutto
per la sua politica (vi ricordate il
baciamano a Gheddafi, l’amicizia subalterna con Putin, l’alleanza prona alla
Lega sui temi dell’immigrazione?), per il modo in cui aveva strutturato il PDL,
e per le dinamiche interne a tale “partito”. Certo, ci sarà stata una dose di
calcolo politico negli atti di Fini che hanno condotto alla rottura con
Berlusconi e alla conseguente espulsione di Fini stesso dal PDL; fatto sta,
però, che nel centrodestra nessun altro ha avuto il coraggio di opporsi con
forza a Berlusconi nel corso della XVI legislatura.
Un secondo atto di dignità - e soprattutto di
responsabilità - è stata, a mio parere, la decisione di Fini di completare il
proprio mandato di Presidente della Camera. Sono certo che su questo punto non
tutti, e anzi forse non molti sono d’accordo. Tuttavia io sono convinto che per
Fini, in certi momenti, sarebbe stato molto più facile dimettersi da tale
carica. Forse, dal punto di vista del consenso elettorale, gli sarebbe
addirittura convenuto. Io sono convinto che non l’abbia fatto per non
consegnare la Presidenza della Camera ad un pretoriano di Berlusconi, con le
relative inevitabili ripercussioni sull’andamento dei lavori parlamentari. Un
giorno, quando sarà possibile farlo con il dovuto distacco, occorrerà
analizzare con oggettività il ruolo che Fini, quale Presidente della Camera, ha
avuto come barriera contro le innumerevoli, ripetute proposte di legge ad personam volute dai Berlusconi e dai
suoi. Un ruolo di cui Fini forse, ad un certo punto, è rimasto politicamente “prigioniero”.
Il terzo atto di grande dignità, responsabilità e
coraggio di Fini è stato, infine, quello di candidarsi alla Camera, alla testa delle
liste di Futuro e Libertà. Fini ha rischiato in prima persona, ha giocato la
partita a viso aperto, e ha perso, affrontando la sconfitta (a differenza, ad
esempio, di Casini che furbescamente si è rifugiato in un seggio sicuro al
Senato nella lista Monti). A mio parere, proprio alla luce di tutto quanto
sopra, si tratta di un gesto che compensa ogni torto o responsabilità che Fini
possa aver avuto dalla fondazione di FLI fino ad oggi. Personalmente, si tratta
del gesto che ha convinto anche me a candidarmi, a “metterci la faccia”, come
si dice in gergo, anche se in una posizione di rincalzo. Il gesto di coraggio e
dignità di Fini è stato condiviso da tutti coloro che, in questo contesto, e
pur a fronte di sondaggi drammatici, hanno avuto il coraggio di candidarsi, e
di esporsi, per una semplice e giusta convinzione: avevamo - e abbiamo - ragione
noi, su tutto: su Berlusconi, sul PDL (solo “da dentro”, ahimè, ci siamo resi
conto, dopo essere stati ingannati dalla chimera di un grande partito di
centrodestra, in un contesto bipolare…), su Putin, su Gheddafi, su Scilipoti e
Razzi, sulla Lega, sulle leggi ad personam, eccetera eccetera.
Insomma, l’Italia è davvero strana, o quantomeno è
davvero strano il momento che l’Italia sta vivendo. Un momento in cui
l’immagine ed il consenso elettorale di Fini vengono azzerati da un’ingenuità politicamente
e giuridicamente irrilevante, mentre Berlusconi, nonostante tutti gli scandali,
le condanne, il conflitto d’interessi, etc., è ancora premiato dal consenso di
parte importante degli Italiani.
L’Italia è un Paese in cui la promessa irresponsabile di
Berlusconi di restituire l’IMU è vincente, mentre viene punito l’atto di
responsabilità di Fini e di FLI di sostenere il governo Monti e le sue
politiche di rigore – inevitabili dopo le decisioni che proprio Berlusconi aveva
preso prima di abbandonare la nave, così da lasciare proprio a Monti i
contraccolpi dell’inevitabile impopolarità.
La riflessione è evidentemente amara, soprattutto per il
suo significato politico. I flussi elettorali rivelano che la maggior parte dei
voti alla coalizione Monti sono arrivati dal centro-sinistra. Purtroppo, il
senso della responsabilità istituzionale e del rigore economico nel contesto UE
- che sono sostanzialmente declinazioni particolari e puntuali di un più ampio
concetto di legalità - in questo momento non fanno breccia nell’elettorato di
centrodestra. Quest’ultimo, infatti, continua a riconoscersi in Berlusconi, quale
paladino e difensore degli status che
tutti in Italia hanno a cuore, della sicurezza di molti imprenditori, ma,
soprattutto, di moltissimi piccoli proprietari immobiliari (la stragrande
maggioranza degli Italiani). Poco importa che Berlusconi faccia promesse
irresponsabili e irrealizzabili, che abbia a cuore solo i propri interessi, e
che solletichi a volte la parte meno nobile dell’animo italiano. C’è un vasto blocco
sociale di centrodestra che guarda ancora a Berlusconi, perché vede minacciate le
proprie sicurezze. E non è sensibile a parole come responsabilità, rigore,
legalità, soprattutto se le considera scuse per garantire risorse ad uno Stato
avido, iniquo ed inefficiente.
A mio parere queste sono le riflessioni principali che
vanno tenute in considerazione, per analizzare il risultato elettorale, ed anzi
tutta la parabola di FLI, dalla sua fondazione fino ad oggi.
Vi sono poi alcuni aspetti più puntuali che comunque
vanno presi in considerazione.
E’ vero, in FLI ha pesato forse troppo il ruolo dei
parlamentari. E’ vero, è stata scelta – sbagliando, a mio parere - la forma del
partito “pesante” (con le tessere, le sezioni, i Congressi), ed è stata abbandonata
la forma del partito “leggero”. E’ vero, a Milano si è perso lo “spirito di
Bastia Umbra”. Tuttavia, non dobbiamo dimenticarci che tra Bastia Umbra e
Milano c’è stato il 14 dicembre, data in cui la sfida lanciata a Berlusconi da
Gianfranco Fini è stata sconfitta in Parlamento. A mio parere, la scelta di
Fini per il partito organizzato, “pesante”, è stata determinata dalla convinzione
che sarebbe stato uno strumento indispensabile per affrontare Berlusconi alle
elezioni. Certamente a Fini è mancata quella capacità visionaria che – per
dirne una, a mò di provocazione - ha consentito a Grillo e Casaleggio di
costruire un movimento che ha ottenuto il 25,55% alla Camera, senza un euro di
finanziamento pubblico (proprio come FLI). Ma non deve sorprendere la diversità
di approccio, che era forse inevitabile: Fini – ed in certa misura tutti coloro
che lo hanno seguito - hanno una visione della politica che è agli antipodi
rispetto a quella di Grillo e Casaleggio. E l’argomento, badate bene, non va
chiuso qui, con autoassoluzioni consolatorie (“non ci hanno capito, amen,
peggio per loro”). Va anzi studiato ed approfondito, perché il Movimento Cinque
Stelle rappresenta una sfida alla politica e alle istituzioni repubblicane che
va ancora compresa in tutti i suoi contorni, gravida com’è di componenti
innovative ma anche di potenziali minacce per la democrazia rappresentativa,
che costituisce uno dei cardini ispiratori della nostra Costituzione.
Inoltre, è troppo facile puntare il dito contro
responsabilità individuali per il risultato elettorale di FLI – catastrofico ripeto - in Italia e in
Veneto (N.d.R. Regione che mi sta a cuore, visto che ci vivo e lavoro, a parte ora che
sono momentaneamente disperso nel deserto del Gobi). Chi vuole affrontare
questo argomento in maniera completa e oggettiva, deve considerare che proprio a
Milano abbiamo assistito a defezioni fondamentali e sconcertanti per il partito
veneto (per il modo in cui sono state, anzi, NON sono state sostanzialmente spiegate,
almeno alcune, a parte quella di Bellotti che si commenta da sola): Urso, Saia
e Bellotti (che a dir la verità mi
scoccia menzionare due volte nello stesso paragrafo, perché non merita così
tanta pubblicità e attenzione, ma amen e così sia). A mio modo di vedere, FLI Veneto
è rimasto scosso nelle fondamenta da tali atti, e i contraccolpi non sono mai davvero
cessati. Per questo occorre riconoscere il merito di chi ha accettato,
nonostante tutto, dopo tali defezioni, di raccogliere il testimone e continuare
la sfida. E mi riferisco soprattutto a Giorgio Conte, che si è trovato a
guidare uno dei coordinamenti regionali più difficili, in uno scenario ancora
più difficile. Io personalmente lo ringrazio per questo; è stato un costante
punto di riferimento, e ritengo che lo dobbiamo ringraziare tutti. Un solo dato
di fatto, su tutti: se Giorgio non avesse resistito alle sirene berlusconiane, FLI
Veneto sarebbe morto ben prima di febbraio 2013.
Cosa fare adesso? Beh, mi pare che FLI continui ad
esistere giuridicamente, ma sia politicamente estinto. Abbiamo appreso [anche qui nel deserto del Gobi] che le
cariche sono state “azzerate”, compresa quella di Fini, e che verrà convocata
un’assemblea costituente per un progetto nuovo. [Qui nel deserto del Gobi non abbiamo ben capito cosa significhi, ma
tant’è].
A mio parere – ma forse sono un po’ naif, e troppo legato
alle regole – servirebbe un Congresso, anche solo per sciogliersi. Ma non è
questo il punto essenziale. Ciò che conta è che vedo i deputati del PDL che
fanno un sit in davanti al Tribunale di Milano perché – evidentemente - sono
ancora convinti che Ruby fosse la nipote di Mubarak, e mi ripeto: avevamo, e
abbiamo ragione noi. E’ da questo che dobbiamo ripartire.
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