Un disegno tanto cinico quanto inaccettabile, perché le responsabilità del disastro che ci attende dovranno essere equamente suddivise tra chi, per apparente casualità della storia, si è trovato ad esercitare “pieni poteri” – ovvero Giuseppe Conte – e chi, potendo impedirlo, glielo ha consentito
Articolo uscito su Atlantico Quotidiano il 29 aprile 2020
Improvvisamente è iniziato il “tiro al Conte”, versione pandemicamente riveduta e corretta del “tiro al piccione”.
D’un tratto, si sono tutti accorti che i suoi provvedimenti – i famigerati Dpcm – sono liberticidi e incostituzionali. Di chi stiamo parlando? Precisiamo: non ci riferiamo all’opposizione. Sarebbe ingiusto. In una fase in cui il Parlamento è stato marginalizzato, anzi, per settimane praticamente chiuso, l’opposizione è stata marginalizzata al quadrato, se non al cubo. Nella “fase 1”, quella del lockdown, le forze di opposizione hanno potuto solo strepitare, più o meno efficacemente, sui social media o in qualche talk show in collegamento via Skype dal salotto di casa. Ma sempre con prudenza. In quella fase, per i leader dell’opposizione il rischio di essere accusati di comportamento “irresponsabile” di fronte ad una delle crisi più gravi – se non la più grave – della storia della Repubblica, è sempre stato dietro l’angolo. E con esso, il rischio, ancor peggiore, di essere dichiarati “unfit”, “inadatti”, in futuro, a governare. In una democrazia parlamentare come la nostra, in cui le carte, nei momenti decisivi, le dà sempre il Quirinale, “saper stare a tavola” è indispensabile. Il rovescio della medaglia è che se ti privano del luogo dove esercitare propriamente l’opposizione, ovvero il Parlamento, sei tagliato fuori. Al quadrato, al cubo.
No, qui stiamo parlando della maggioranza. Del Movimento 5 Stelle, del Pd, di Leu, di Italia Viva, le forze politiche che sostengono l’attuale governo “giallo-rosso”. La condotta di questa maggioranza ha confermato una regola non scritta ma inderogabile: le norme liberticide, in Italia, si possono fare, eccome se si possono fare, purché sia la sinistra a farle.
Conte ha governato la “fase 1” a colpi di propri decreti, di decreti del presidente del Consiglio – Dpcm, appunto. Ha semplicemente ignorato la Costituzione, e tutti quei casi in cui impone che i limiti all’esercizio delle libertà fondamentali possano essere imposti solo con legge o con provvedimento del giudice, ed ha utilizzato una fonte del diritto, il Dpcm, che nel nostro ordinamento è residuale. Perché i Dpcm, il presidente del Consiglio se li scrive praticamente da solo (li ha controfirmati il solo ministro della salute), non serve delibera del Consiglio dei ministri, non vengono emanati dal presidente della Repubblica, e non devono nemmeno essere convertiti in legge. Conte non poteva farlo, non doveva farlo, ma lo ha fatto. Ma non lo ha fatto “da solo”, glielo hanno lasciato fare.
Ha avuto il pieno appoggio del “complesso mediatico-politico” che costituisce l’attuale maggioranza di governo. Le uniche proteste si sono levate, in tempi non sospetti, da parte di giuristi che gravitano intorno al centrodestra, o che comunque non possono essere ricondotti all’area del centrosinistra. Per il resto: appoggio granitico da parte dei “media” che contano, silenzio dei giuristi, silenzio e/o assenso delle istituzioni di garanzia.
Il primo segnale di cambiamento si è avuto solo con la clamorosa “bocciatura” dei provvedimenti di Conte da parte di Sabino Cassese, una delle voci più autorevoli – se non la più autorevole – del diritto pubblico italiano. Bocciatura che è avvenuta, però, solo a metà aprile, e si è eretta per un paio di settimane come un gigantesco monolite nel deserto dell’acquiescenza.
Poi Conte si è finalmente presentato al Parlamento, per riferire sui provvedimenti adottati e sulle trattative in corso in sede europea. Ne è uscito triturato dagli interventi dell’opposizione (capito perché bisognava chiudere il Parlamento?). E se il Parlamento avesse potuto votare, per il suo governo sarebbe andata ancor peggio.
Soprattutto, quella mattina stessa Repubblica e il Corriere hanno recapitato a Conte un vero e proprio “cartellino giallo”, riferendo, con “scoop” inaudito, che ancora a gennaio il Ministero della salute aveva prefigurato uno scenario così drammatico dell’epidemia da coronavirus da essere “secretato”. Questa vicenda del “piano segreto” – quando è stato predisposto? quando e come è stato attuato? – è solo ora all’esame del Copasir, la commissione parlamentare di controllo sui servizi segreti (di nuovo: capito perché bisognava chiudere il Parlamento?). Vedremo cosa salterà fuori. Ma ciò che più importa è che gli scoop dei “giornaloni” hanno fatto capire che la caccia al “capro espiatorio” era iniziata.
Ed eccoci infine all’ultimo Dpcm. Contro il quale – meraviglia delle meraviglie – si sono levate autorevoli ed esplicite voci contrarie. Forse Conte si aspettava il diluito malcontento della gente comune, di fronte alla mancanza di un chiaro piano per la “fase 2”. Certamente si attendeva l’impotente rabbia dei piccoli negozianti e commercianti, che vedono protrarsi la chiusura forzata, anche nelle Regioni meno colpite, senza una evidente spiegazione.
Non credo si aspettasse, però, la vigorosa protesta della CEI contro la proroga del divieto delle celebrazioni liturgiche (protesta apparentemente sconfessata dal Papa in persona con un tweet, peraltro).
Ed infine è arrivato anche lui: Matteo Renzi. Facendo buon uso della faccia tosta che lo contraddistingue, il leader di Italia Viva (che fino a prova contraria sostiene il governo Conte) ha dichiarato gagliardamente a Repubblica: “Ora basta, non possiamo calpestare i diritti costituzionali con un Dpcm”. “Questo non è più il mio governo. È un governo al quale noi diamo una mano, con dei ministri, etc”, ha detto ieri sera su La7.
Viene spontaneo chiedere: in che senso “ora basta”? E i precedenti Dpcm, che erano ancora più restrittivi, facciamo finta che non siano mai esistiti?
C’è da chiedersi che cosa sia avvenuto per convincere Renzi – che non fa mai nulla a caso – a muoversi così.
Beh, prima dell’ultimo Dpcm è avvenuta una cosa particolarmente importante per i “poteri forti” che governano l’Italia. Si è perfezionata la tornata delle nomine delle partecipate statali (Eni, Enel, Leonardo-Finmeccanica, etc….), dopo una guerra fratricida in seno al governo che si è combattuta sottotraccia per mesi e che non è stata interrotta nemmeno dalla pandemia. Una guerra che ha avuto, tra i vincitori, proprio Renzi, visto che sono stati confermati molti di coloro che furono nominati in posti cruciali quando era lui ad essere l’”uomo forte”. E che ha avuto, tra gli sconfitti, proprio l’attuale presidente del Consiglio, che è riuscito ad imporre pochissime persone di sua fiducia in ruoli di rilievo.
Ecco, quindi, cosa prefigura l’uscita di Renzi: ora che le nomine cruciali sono state fatte, il presidente del Consiglio, che è stato lasciato a gestire “da solo”, a colpi di Dpcm, la “fase 1”, può essere lasciato, “da solo”, a fungere da “capro espiatorio” del malcontento popolare che monterà, inevitabilmente, a fronte del tracollo economico che si prospetta nei prossimi mesi.
È un disegno tanto cinico quanto inaccettabile, perché le responsabilità del disastro che ci attende dovranno essere equamente suddivise tra chi, per apparente casualità della storia, si è trovato ad esercitare “pieni poteri” – ovvero Giuseppe Conte – e chi, potendo impedirlo, glielo ha consentito.
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